(di Francesco Attolini) Le prime anticipazioni del rapporto Censis 2020 sulla trasformazione digitale in Italia non piaceranno affatto a chi racconta di un sistema Verona ai vertici dell’innovazione. Certo, alcune realtà locali sono all’avanguardia, ma se guardiamo la situazione in generale, come territorio, non ci siamo proprio. Impietosa come tutte le classifiche, la rilevazione divide le province in più o meno buone e più o meno scarse. E Verona non è in cima alla lista. Neanche in fondo, per carità, ma in un limbo incolore tra il 21° e il 40° posto: insomma, in termini calcistici siamo confinati in serie B. Altro che smart city e grandi entusiasmi chilo per la rapida crescita dell’hi tech.
Se parliamo di cosa manca a Verona per tornare a progettare uno sviluppo di cui oggi ha perso la strada, a cosa dovremmo pensare? Non a una Disneyland evoluta, in balia delle mode e di un turismo ingovernabile, ma a un sistema di economie moderne. A una leadership consapevole che il mondo è cambiato. A competenze da far crescere, a investimenti da attrarre, alle infrastrutture di rete da costruire e rimodernare. In definitiva a un futuro che non è fatto solo di internet, ma che comunque dall’universo web non può prescindere.
Sono dati che dovrebbero far suonare la sveglia alle 5 del mattino a chiunque possa e debba fare di più ma non lo sta facendo. Cioè alla politica che non sta progettando le infrastrutture, alle imprese che fanno sì innovazione però solo a casa loro (e fortuna che la fanno almeno lì), ma incapaci di fare rete anche per pretendere dorsali più veloci, collegamenti stabili, migliore formazione in campo digitale a partire dalle scuole dell’obbligo. Per non parlare dei gestori e provider che a Verona incassano soldi a palate ma investono poco o niente per portare banda larga e fibra ottica VERA nelle case e nelle imprese.
Tra l’altro nelle pieghe dei dati del Censis (qui la sintesi di Riccardo Luna per Repubblica) pare che il gap più penalizzante sia nella scarsa digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, come potrebbe testimoniare chiunque abbia provato a contattare Inps, Motorizzazione, Agenzia delle entrate o il Catasto: ciascuno di noi ha la sua breve storia triste da raccontare. Carenza diventata letale in tempi di Covid-19, con metà del personale tenuto a lavorare da casa senza strumenti. Quanto siamo indietro rispetto all’Estonia ex sovietica?
E visto che parliamo di fare rete, c’è un altro problema. Verona non è sola, lì a metà dell’elenco. Fa triste compagnia a province che pure sono la locomotiva del Paese: con noi ci sono tutti i territori pedemontani da Bergamo a Venezia. L’area del Po è messa ancora peggio, mentre molta dell’Emilia che produce è nella top 20. Padova a parte, l’intero Veneto non brilla: sotto media Belluno e soprattutto una Rovigo a livelli da profondo Sud. Possibile che regioni forti e orientate allo sviluppo e all’internazionalizzazione come Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia o Trentino-Alto Adige ignorino che il digitale moltiplicatore valore e risorse? E non solo le Regioni come istituzioni: perché enti locali, imprenditori, università, professionisti, studenti e cittadini non fanno massa critica e non pretendono – né fanno – di più?
Qualcuno a questo punto dirà che in fondo siamo messi meglio che in Molise, in Calabria o nelle isole, quindi inutile agitarsi. Sbagliato. Perché Verona non è solo nella serie B dell’Italia: insieme a tutto il Paese è nel sottoscala della UE, e in qualche categoria l’Italia è addirittura vergognosamente ultima. Lo dice l’indice DESI 2020 elaborato dalla Commissione Europea: siamo al 25° posto su 28, sopra Romania, Grecia e Bulgaria. Capite cosa comporta tutto questo?
Il Digital Economy and Society Index (se volete farvi del male potete trovarlo qui) monitora con una serie di parametri il livello di digitalizzazione dei Paesi europei, dalla connettività alle competenze digitali, o dall’uso individuale del web alle tecnologie digitali nelle imprese, fino ai servizi digitali nella PA. In un solo anno abbiamo perso due posizioni, gap che si è sicuramente esteso con il Covid-19, che ha dimostrato quanto sia fondamentale per cittadini e imprese essere collegati e interagire online. Ciò vale ancor più per l’economia: aziende che hanno investito nel digitale di Industria 4.0, ma anche Pmi e start up sulle quali puntiamo per la crescita.
E una buona infrastruttura di rete, seppure importante, non ci basta. È sulle competenze digitali, sul capitale umano che l’Italia – e ricordiamo che Verona condivide questo tracollo – è al capolinea. Il rapporto DESI ne evidenzia gravi carenze per la capacità nell’uso di internet di base, media e perfino avanzata: per forza siamo all’ultimo posto nella UE. Bocciati per i laureati in discipline ICT, per la conoscenza dei software, per l’impiego di specialisti nelle aziende, per la presenza di donne nel settore. Siamo in ritardo, e il treno non aspetta.
Cos’altro ci serve per capire che se non si cambia passo Verona nel 2030 avrà un problema di innovazione? Che tutto il tempo perso a discutere di filobus, di nomine negli enti e di plateatici non tornerà? Che è obbligatorio scegliere finalmente se pensare al futuro o aggrapparci a un grande passato finito?