Una signora veronese cade e si rompe un femore: frattura scomposta con frammenti ossei sparsi. Dopo 10 ore al Pronto Soccorso di Borgo Trento in un corridoio senza né cibo né acqua, viene parcheggiata in Otorinolaringoiatria. Solo il giorno dopo è trasferita in Ortopedia, dove dopo due giorni è operata con successo. Ma un degente deve anche mangiare. Il cibo, che causa Covid arriva preconfezionato, come accade da anni è scadente e poco appetibile, sempre la stessa roba, impossibile aggiungere o variare qualcosa. Se si va a visitare un ricoverato, c’è una trafila ridicola: aspersione delle mani con gel disinfettante, misurazione della temperatura, richiesta del motivo della visita, bollino blu che viene attaccato ai vestiti che ricorda la banana Chiquita. Ma questo solo nei giorni feriali. Da sabato pomeriggio alla domenica sera ingresso libero senza alcun filtro. E’ una cosa seria?
La nostra signora viene quindi trasferita al Centro Riabilitativo Veronese di Marzana. Per 30 giorni non può caricare l’arto e deve stare a letto o in poltrona con arto esteso, provvedendo alle necessità fisiologiche con padella o catetere. L’assistenza viene fatta da personale specializzato. Il trasferimento e la degenza al CRV, denominato in termini tecnici “scarico”, sono interamente a carico del paziente (140 euro al giorno). Dal trentunesimo giorno può tornare ad essere a carico del SSN per la riabilitazione vera e propria, da effettuarsi nella medesima struttura.
Ma se uno non può permettersi di pagare 140 euro al giorno che cosa deve fare? Può andare in una casa di riposo, ammesso che riesca a trovare posto, con i rischi connessi ad un personale non specializzato. Oppure può tornare a casa e trovarsi degli infermieri a pagamento. Ma se uno non ha i soldi?
Una falla non da poco per un Sistema Sanitario Nazionale che dovrebbe garantire cure e assistenza gratuitamente. Ma anche un esempio di come la sanità veronese stia perdendo colpi. Citrobacter a parte.