(di Gianni De Paoli) Un po’ di numeri per capire la psicologia degli italiani. Durante il lockdown una parte degli italiani è rimasta a casa. Fra costoro quelli che comunque non avrebbero lavorato – studenti, pensionati ecc.- e quelli che non lo hanno potuto fare per le note limitazioni. Della popolazione attiva, cioè quella che ha un lavoro, il 39% della popolazione totale, solo un terzo ha lavorato. Da cui si deduce che gli italiani attivi durante il lockdown sono stati solo il 13% della popolazione. Gli altri, volenti o nolenti, a casa a riposare.
Considerato il disastroso calo del Pil, traducibile in una generalizzata diminuzione delle entrate per ognuno, tamponata temporaneamente solo dalla cassa integrazione e da qualche “bonus”, logica avrebbe voluto che quest’anno i pensieri degli italiani fossero rivolti al lavoro e alla ripresa economica più che allo svago. Non solo per la preoccupazione del futuro e per la necessità di recuperare quanto perduto, ma perché non c’era di che riposarsi, visti i due mesi di fermo forzato. Solo quel 13% che durante il lockdown aveva lavorato – settore alimentare, della distribuzione, dei servizi essenziali, delle forze dell’ordine, medici e infermieri- aveva il diritto morale di fare le ferie.
Invece a ferragosto il 54% degli italiani è andato in vacanza. Quasi la metà lo farà entro l’estate. E questo va bene per gli operatori del settore turistico. Viviamo in un paese libero e ognuno ha diritto di fare quello che vuole. Ma si rendono conto i vacanzieri che così hanno determinato la ripresa della diffusione del virus, col rischio di un altro lockdown, totale parziale, che non ci possiamo permettere? E non pensano che in vista della crisi che ci aspetta in autunno forse sarebbe stato meglio mettere da parte qualche soldino invece che bruciarlo facendo la coda sull’autostrada?