Nel ridente paesino di Castelnuovo del Garda diventa un “caso politico” una delle pietanze venete della tradizione, i Bigoli. Per la precedente amministrazione di CentroSinistra, che ha governato il paese per 15 anni, il piatto tipico era da ritrovare sì nei Bigoli, ma al ragu’ di anatra, divenuto un must lanciato nella DE.CO. Moro del Castel,  dopo uno studio attento che ha visto protagonista il noto giornalista enogastronomico Riccardo Lagorio. In mezzo un’elezione volta pagina. Per la nuova attuale amministrazione a trazione leghista, Bigoli sì, ma con le sarde in un “quasi saor” con uvetta e pinoli alla Torre, che si vorrebbe far entrare nel novero della tradizione del paese rivierasco. Quello che c’è di sicuro, almeno sino agli ultimi trent’anni, di pescatori a Castelnuovo nemmeno l’ombra. Per inciso, Torre e Castel  appartengono al medesimo manufatto di epoca viscontea che sta a simbolo del Paese massacrato dal Radetsky l’ 11 aprile del 1848. Comunque, per non sbagliarsi, il menu degustazione dei bigoli castelnuovesi proposto dalla nuova ProLoco costava a Ferragosto la bellezza di 25€ a cranio, vini esclusi perché in omaggio da una nota cantina del Garda. Novità salata, insomma…

La storia dei bigoli nasce ai tempi della Serenissima Repubblica di Venezia, quando un pastaio di Padova, nel 1604, detto Abbondanza, chiese al Comune un brevetto per registrare un macchinario di sua invenzione. Con questo congegno riuscì a produrre diversi tipi di pasta, ma il popolo ne consacrò uno in particolare, gli attuali bigoli. Fu così che due secoli più tardi quasi tutte le famiglie del nord-est dell’Italia avevano questo macchinario in casa, ribattezzato successivamente bigolaro. Era perfetto per fare la pasta lunga.

Ancora oggi, alcune famiglie venete conservano un bigolaro come cimelio di famiglia. Il bigolaro è marchingegno in legno: un torchio con una trafila ruvida in bronzo. Questo semplice strumento casalingo veniva fissato al tavolo e al suo interno veniva fatto passare l’impasto di farina, acqua e sale, in una trafila ruvida. Il passaggio dell’impasto era azionato tramite una pertica che andava girata con forza e alla quale, di solito, si alternavano una o più persone. Appena fatti, i bigoli ancora freschi, erano messi a essiccare, stesi su bastoni sospesi fra le sedie. Le donne di casa di solito ne preparavano in grandi quantità, in modo da averne una abbastanza per soddisfare il fabbisogno della famiglia per tutta la settimana.

Proprio grazie alla loro consistenza ruvida, i bigoli si prestano perfettamente a condimenti a base di sughi. I bigoli tradizionali, infatti, sono quelli conditi con ragù di carne o frattaglie di anatra, ma una delle ricette tipiche venete sono anche i bigoli con le acciughe, un piatto povero, che in passato veniva consumato ad esempio nel Venerdì Santo o alla vigilia di Natale.

Dubbia invece la storicità di ingredienti “ricchi” nella tradizione castelnuovese, quali uvetta e pinoli. Ma sicuramente queste variazioni non sono il saor dei vecchi pescatori veneti che preparavano questo piatto a bordo utilizzando prodotti che avevano nella loro stiva e certamente, uvetta e pinoli, molto più pregiati non ne facevano parte. Si sta parlando di un piatto molto antico, vi è anche chi sostiene che la ricetta delle Sarde in saor sia di origine ebraico veneziana passata poi a tutta la città e di li a tutto il veneziano. Sicuramente la si può far risalire al 1300 dato che l’ utilizzo di tale condimento è documentato da un prezioso manoscritto medievale, il Libro per cuoco o Anonimo Veneziano, un ricettario contenente una serie di preparazioni ancora presenti nella cucina veneta, stampato nel 1899 e giunto a noi con il titolo di Libro di cucina del secolo XIV: l’ autore suggerisce di friggere il “pesse” in “bono olio” e di aggiungere poi uva passa, aceto e “cepola”; qui viene citata quale “salsa agrodolce per il pesce”: “Se tu voy fare pesse a savore che se chiama a sabeto, frizelli in bono olio, toy uva passa e maxenala con l’ agresta e con aceto e toy cepola e lessala e batila con cotello poy frigilla con quello savore e mitige specie che non habia zafarano e mitigi galanga asai e fai che seano acetoxi non tropo“.