Entro sabato dovranno essere presentate le liste per il rinnovo del Consiglio Regionale e per l’elezione del Governatore del Veneto e ci saranno ancora le “quote rosa”.  A Verona, per esempio, la lista di ciascun partito, che è di nove candidati, dovrà avere un minimo di quattro donne. Funziona così. E’ una forzatura, perché – chi fa politica lo sa – gli iscritti, i militanti, gli attivisti dei partiti non sono equamente distribuiti fra i due sessi, ma c’è sempre una netta preponderanza maschile. Siete mai stati a una riunione? Le donne sono sempre una netta minoranza. Ma non perché non volute o discriminate. Anzi! Semplicemente perché il gentil sesso è sempre stato meno interessato alla politica rispetto ai maschietti. Sarà perché, come si dice, la politica è una guerra combattuta con altre armi; sarà perché hanno altri gusti, ma le donne che fanno politica sono di gran lunga meno degli uomini.

E allora perché le “quote rosa”? Perché sono il risultato di una visione demagogica ed errata della realtà: quella che vorrebbe le donne discriminate e quindi da “proteggere” riservando loro dei posti. Il realtà le “quote rosa” sono un’offesa per la donna. Rappresentano la quintessenza del maschilismo più becero perché sottendono il concetto che per la politica le donne fanno parte di una “quota protetta”, come se fossero portatrici di un qualche handicap. Follia.

Garantire loro una corsia preferenziale quando ci sono le elezioni è come dire “siccome siete svantaggiate rispetto ai maschi, allora partire qualche metro prima”. Allo stesso modo obbligare una qualsiasi giunta ad avere un certo numero di assessori donna significa affermare una loro inferiorità inesistente oltre che inconcepibile. In politica le donne sono brave e capaci né più ne meno dei maschi. Magari ce ne fossero di più. Fossi una donna le quote rosa le sentirei offensive per la mia dignità.