(di Francesco Attolini) L’avevano fatta passare poco prima del Covid come la soluzione ideale: dopo anni di timori per la sopravvivenza perché è situata proprio sul percorso della futura linea ad alta velocità tra Brescia e Verona, Ancap può salvarsi dalla minaccia rappresentata dalla TAV. Basterebbe “un limitato spostamento del tracciato per evitare demolizione e trasferimento”. In apparenza si protegge la continuità aziendale, senza rallentare i cantieri, e si finisce l’opera in tempo per le Olimpiadi 2026. Ma è davvero così? Simone Boschini, a nome della famiglia che dal 1964 produce a Sommacampagna le porcellane di alta qualità, non ci sta. “È una clamorosa forzatura”.
“L’idea di utilizzare il sedime ferroviario esistente per far passare la TAV non risolve affatto i problemi di Ancap. In realtà abbiamo perso altri mesi senza che il dialogo ripartisse, non abbiamo avuto risposte e non c’è alcun accordo. In base a indicazioni confermate più volte ci saremmo dovuti ritrovare con la nuova azienda in un’altra sede, per poter ripartire senza interruzioni. Invece ora rischiamo di rimanere qui, circondati e soffocati dai cantieri TAV, dopo che ci è stato impedito di investire per svilupparci. E senza nemmeno ricevere un indennizzo per i danni subiti e poterci attrezzare per continuare qui”.
La prescrizione deliberata dal CIPE era chiara e imponeva a RFI di assicurare il trasferimento dell’azienda prima di approvare il progetto finale, e comunque prima dell’inizio lavori. Da sempre tutti hanno lavorato su questa sola ipotesi percorribile: rimanere accanto al tracciato TAV invece finora è stata definita nei documenti ufficiali “un’opzione non percorribile” da RFI, Cepav Due, CIPE ed enti locali. E adesso? Di fronte a questo clamoroso voltafaccia, Ancap non vuole accettare compromessi che mettano in pericolo l’attività produttiva.
Paradossalmente il progetto ancora oggi prevede formalmente di spostare lo stabilimento in un altro sito a spese del consorzio ferroviario. Il fabbricato sarebbe dovuto nascere prima di demolire il precedente, ma anche prima di attivare i cantieri della TAV, per non sospendere la produzione e nuocere agli elevati standard produttivi di Ancap, visto il vincolo imposto per l’esproprio. E se RFI e Cepav Due avessero rispettato quanto previsto dal progetto (tuttora in vigore) Ancap sarebbe già nella sua nuova sede senza aver subito danni.
In allarme anche gli enti locali. Comuni di Sona e Sommacampagna, Provincia di Verona e Regione Veneto vigilano perché la TAV non pregiudichi economia e occupazione già in crisi post pandemia. Timore condiviso dai 108 lavoratori che, allarmati per il futuro dell’azienda, hanno già coinvolto le istituzioni con il sindacato. In cassa integrazione per Covid, i dipendenti e le loro famiglie si chiedono se, quando e a che condizioni sarà possibile tornare al lavoro.
“Dal 2003, quando il CIPE ha prescritto che l’azienda doveva essere trasferita, non ci è permesso investire – dice Boschini –. Il vincolo di esproprio, reiterato periodicamente, ha azzerato il valore del fabbricato. Pur di innovarci abbiamo sostenuto lavori a nostre spese, confidando su una rapida ripresa nella nuova sede. Ma si sviluppa solo chi investe, fa ricerca e offre prodotti competitivi. I clienti però ci chiedono se potremo far fronte alle commesse, o se ci saremo ancora tra un paio d’anni. Dubbi che possono metterci in ginocchio, perché se non ci ritenessero più fornitori credibili il declino sarebbe inevitabile”.
“I primi cantieri vicini creano già pesanti disagi alla viabilità. Non ci sono studi sui danni che i lavori e poi i treni veloci potrebbero causare ai fabbricati e alle lavorazioni. Eppure il vincolo di esproprio rimane, anche se per Cepav Due è caduta l’ipotesi del trasferimento: è un controsenso che di fatto nega quella continuità produttiva e lavorativa che il CIPE imponeva di preservare”.
Quindi altro che “soluzione ideale”: è come se ad Ancap fosse stato detto di arrangiarsi, scaricando sull’azienda i danni causati dai ritardi del contractor e permettendo a quest’ultimo di evitare oneri e costi del trasferimento. E non rimane più tempo: Ancap potrebbe scomparire, e per questo chiede che RFI non approvi il progetto modificato senza più la rilocalizzazione prescritta né previsione di indennizzo per l’esproprio, ma anche senza nemmeno un’intesa con Cepav Due, almeno per sostenere i costi del rinnovamento strutturale e impiantistico dello stabilimento. Ancap non vuole finire su un binario morto.