E’ partita oggi da Roma la prima missione internazionale del ministro degli Esteri cinese da quando è scoppiata la pandemia. Wang Yi ha incontrato oggi a Villa Madama Luigi di Maio.

(di Angelo Paratico) Sono ricominciate le manovre cinesi per promuovere l’iniziativa One Belt One Road (la nuova via della seta) e il 5G.  Giuseppe Conte e Gigi Di Maio si erano sempre detti favorevoli a più stretti accordi con il gigante asiatico, dimenticando che l’Italia è parte di un blocco, quello statunitense, oltre che quello, debolissimo, fra stati europei. Così, non importa chi vincerà alle prossime elezioni statunitensi del 3 novembre. Sia Joe Biden che Donald Trump non approveranno il corteggiamento italiano alla Cina. Ma c’è poco da temere: i 5Stelle si sono dimostrati dei “coperchi che vanno bene per tutte le pentole” e che, non avendo alcuna base ideologica, sono in grado di cambi di fronte repentini.

Il cambio di fronte con la Cina è già iniziato. La prime avvisaglie si erano viste nel mese di maggio, in piena pandemia, quando l’ambasciatore della Comunità Europea (per chi non lo sapesse, esiste un sistema diplomatico europeo, parallelo a quello dei singoli stati) ha voluto celebrare il 45° anniversario delle relazioni diplomatiche con la Cina, con una lettera nella quale, fra l’altro, chiedeva una maggiore cooperazione a livello sanitario. Fu pubblicata sul quotidiano in lingua inglese del Partito comunista cinese, China Daily, divenendo il centro di uno scandalo. All’ultimo minuto i funzionari cinesi avevano insistito per la rimozione di una clausola che menzionava “lo scoppio del coronavirus in Cina, e la sua successiva diffusione nel resto del mondo negli ultimi tre mesi“. L’ambasciatore UE a Pechino aveva accettato questo cambiamento, senza consultare i colleghi. Questo aveva suscitato la furia nei ministeri degli esteri di tutta Europa, incluso quello italiano, e un raro rimprovero da Bruxelles.

Questa tempesta diplomatica esemplifica non solo l’ignoranza di alcuni funzionari dell’Ue, ma anche una nuova importante tendenza. Più la Cina flette i muscoli con il mondo esterno, maggiore è il risentimento che crea.  Il nostro Paese, duramente colpito dalla pandemia, era stato il fulcro di una vera e propria campagna di influenza cinese, che ha comportato pagamenti finanziari segreti e spedizioni di alto profilo di aiuti medici, insieme a una tempesta di propaganda volta a far credere che i tradizionali alleati occidentali dell’Italia l’avessero abbandonata.

La reazione è stata che altri Paesi stanno rafforzando il proprio sostegno a Taiwan. Vari governi occidentali, fra i quali il Canada e l’Australia, stanno compiendo uno sforzo concertato per ripristinare lo status di Taiwan come osservatore presso la OMS. La democrazia taiwanese fu esclusa da questo organismo nel 2016, a causa delle pressioni del regime comunista di Pechino. La missione olandese per il commercio e gli investimenti a Taipei, la capitale taiwanese, ha recentemente abbreviato il proprio nome in “Netherlands Office Taipei”, evidenziando un mandato politico più ampio, e ha cambiato il suo logo per mostrare i colori della bandiera olandese. Il regime di Pechino avrebbe potuto ignorare questa piccola e solo simbolica svolta. Nessuno se ne sarebbe accorto, invece ha dato avvio a una campagna di minacce di possibili ritorsioni commerciali, anche nei confronti dell’Australia. I senatori americani hanno risposto alle pressioni cinesi sull’Australia con una lettera di sostegno bipartisan, fortemente formulata, e firmata “in mateship”. La Germania ha lamentato che la Cina stava cercando di estorcere pubblicamente espressioni di gratitudine per la fornitura di assistenza medica. In Polonia, i funzionari cinesi hanno tentato lo stesso trucco con il presidente Duda.

I Paesi di tutto il mondo si preoccupano ora della fragilità delle linee di fornitura che dipendono troppo dalla Cina e la Gran Bretagna ha escluso la Huawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni, dalla rete di telefonia mobile 5G di prossima generazione.