(di Gianni De Paoli) Sul finire della Prima Repubblica emergeva la questione settentrionale innescata in Veneto dove, prima che altrove, era emersa la richiesta di autonomia collegata al riconoscimento dell’identità etnico-culturale. Quello che subito era stato considerato un fatto quasi folcloristico, con l’on. Achille Tramarin (1983) che alla Camera pronunciava il suo intervento in veneto, presto sarebbe diventato uno dei più importanti fenomeni politici del paese.
Prima fu la Liga Veneta, movimento identitario e autonomista basato su motivazioni culturali prima ancora che economiche. Solo in un secondo tempo, quando con Franco Rocchetta la Liga acquisì più peso politico, avvenne l’alleanza con la più giovane Lega Lombarda, sorta più che altro sulla rivendicazione fiscale, che nel 1987 aveva eletto un suo parlamentare: Umberto Bossi. Ben presto i lombardi, demograficamente ed economicamente più forti, prevalsero sui veneti e Bossi divenne il capo incontrastato della Lega Nord, che aveva inglobato i vari movimenti autonomisti.
I Veneti però mal digerivano l’egemonia lombarda e così Bossi non ci pensò due volte a fa fuori Rocchetta (1994). Fu allora Fabrizio Comencini a prendere in mano la Liga, ma Bossi, forte del suo ruolo nazionale, non accettava più una gestione del partito condivisa con i veneti: voleva comandare lui e basta. Fu così che anche Comencini venne eliminato (1998) e a capo della Liga vennero messe persone fedeli al capo lombardo. La storia si ripete nel 2014, dopo che la leadership della Lega Nord viene presa da Matteo Salvini. Nella Liga era cresciuto troppo Flavio Tosi che gli faceva ombra. E allora anche lui viene fatto fuori e la Liga viene consegnata a Luca Zaia, governatore del Veneto in sintonia con Milano.
Così siamo arrivati ai giorni nostri. Salvini, che aveva preso in mano un patito ridotto ai minimi termini da un Bossi appannato, opera una svolta epocale: trasforma la Lega da movimento macro-regionale in movimento nazionale, mette in secondo piano le istanze autonomiste per abbracciare quelle dell’identità e della sovranità nazionale, sfonda anche a sud e diventa il primo partito italiano. Ma il dualismo lombardo-veneto cova sotto la cenere. La grande visibilità acquisita da Zaia con la brillante gestione della pandemia e le percentuali altissime della Lega in Veneto riproducono quella rivalità negata a parole, ma presente nei fatti. Dopo il plebiscito in favore dell’autonomia ottenuto col referendum del 2017 si accinge ad essere confermato governatore con percentuali attorno all’80% e non solo nei sondaggi, ma anche nell’immaginario collettivo nazionale, Zaia si presenta come il personaggio di gran lunga più apprezzato del centrodestra. Stavolta la storia difficilmente si ripeterà.