(di Giorgio Massignan, VeronaPolis) La recente alluvione, che ha devastato la nostra città, pone una serie di domande sul perché queste drammatiche situazioni si ripetono, sempre più frequentemente, sui nostri territori (nella foto, l’alluvione dell’Adige a Pescantina nel 1966). In queste note non intendo analizzare le condizioni delle infrastrutture di smaltimento delle acque, o le responsabilità delle nostre Pubbliche Amministrazioni, ma le cause che hanno prodotto il cambio climatico che, in pochi mesi, ha causato cinque bombe d’acqua su Verona. L’eccessiva cementificazione del suolo e la sua conseguente impermeabilizzazione, la carenza di aree verdi e di  laminazione delle acque,  così come altri squilibri ambientali, sono il prodotto di una pianificazione errata del territorio.

Pianificazione che è stata, da sempre, il prodotto tra il  fattore politico e quello economico. Prodotto, che è stato reso possibile grazie alla cosiddetta legge di mercato, su cui si basa il sistema capitalistico. Ma, il mercato ed il conseguente capitalismo da condannare, come causa del precario equilibrio ecologico in cui si trova il nostro pianeta, è quello che agisce come un organo autonomo, con il solo obiettivo del profitto immediato, che sta arricchendo pochi e causando danni a tutti. Personalmente, credo sia possibile arrivare al cosiddetto green capitalism;  a un tipo di mercato e di capitalismo governato  da regole rigide e definite, in grado di permettere  una radicale trasformazione e riqualificazione dei nostri equilibri ecologici. Un capitalismo indirizzato ad arrestare il consumo e lo sfruttamento delle risorse naturali e orientato verso la  ricerca e l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili; alla riduzione ed al riuso dei rifiuti; al blocco della cementificazione del suolo; alla rinaturalizzazione, dove possibile, dei corsi d’acqua; ed a tutte le pratiche che possano migliorare la qualità dei luoghi abitativi e di lavoro. 

L’opposto di un mercato e di un capitalismo basati sulla deregulation.

Ma, alcuni politici e politologi,  sostengono che il green capitalism non è possibile attuarlo, perché l’ecologia presuppone la fine della centralità dell’ organismo essenziale del capitalismo, il mercato e contrappongono l’ambientalismo alla lotta di classe. Ritengo che gli esempi storici dei sistemi governativi nati dalla lotta di classe, non depongano a favore di una particolare sensibilità e attenzione per l’ecologia. Non credo che la questione dell’equilibrio ecologico nel nostro pianeta si possa risolvere riscoprendo l’antica formula della lotta di classe, ma attraverso l’opposto della lotta, con la concordia tra le classi. Per evitare che la terra muoia, è necessario che tutte le componenti della nostra società: imprenditori, operai, professionisti, insegnanti, politici, etc., collaborino per formare un sistema, in cui il principale obiettivo sia la salute del nostro ambiente e dove non compaiano le figure dello sfruttatore e dello sfruttato e le risorse economiche non siano investite in sterili speculazioni finanziarie, ma per aumentare l’occupazione.

Mi si risponderà che quello che propongo è il paese dei balocchi,  un’ingenua utopia. Rispondo, che se l’umanità non trasformerà al più presto questo sogno, questa utopia, in realtà, non avrà ancora molti anni di vita.