(di Gianni De Paoli) 8 settembre. E’ diventato sinonimo di sfacelo e vergogna. A distanza di 72 anni, storici come Ernesto Galli della Loggia e Paolo Mieli, al di sopra di ogni sospetto per collocazione politica, definiscono l’8 settembre del ’43 come il giorno in cui si è sgretolata la Patria. Intervistati dalla Rai hanno analizzato “il giorno della vergogna“, com’era intitolato il programma, con la serenità di chi vuole raccontare la verità storica. E ne hanno dato un giudizio negativo.
I tedeschi, ha notato Mieli, hanno fatto la guerra fino in fondo, l’hanno persa tutti insieme e insieme ne hanno patito le conseguenze. Hanno fatto più fatica di noi a tirarsi su, ma alla fine ce l’hanno fatta, e bene. Lo stesso in Giappone. In Germania e in Giappone il concetto di Patria è rimasto intatto. Non in Italia, dove proprio a causa di quello che è avvenuto l’8 settembre, giorno in cui agli occhi degli italiani s’è sgretolata la Patria, per più di mezzo secolo questa parola non è stata più nemmeno pronunciata.
Patria? Quale, quella fascista? Galli della Loggia risponde: «La Patria. Quella dell’immaginario collettivo della gente, quella dei Carabinieri, dell’epopea risorgimentale, della pubblica amministrazione, della casa regnante ecc.» C’era, è vero, anche un’altra Patria, quella pensata dai pochi antifascisti, che si è realizzata successivamente con la democrazia, ma era solo l’idea di un’élite. Per il popolo la Patria era quella che veniva distrutta con la fuga del re, con Badoglio, con l’armistizio di Cassibile, nella foto, con il voltafaccia rispetto agli alleati con i quali s’era iniziata la guerra. Dall’8 settembre ne è uscito una paese diviso, dapprima in due stati distinti, poi diviso su tutto.
Non è mai una cosa onorevole iniziare una guerra da una parte e finirla dall’altra. Averlo fatto sarà anche stata una furbata, ma le conseguenze le stiamo pagando ancora.