(b.g.) La sfida va ben oltre le “semplici” elezioni regionali: una buona affermazione in Veneto permetterebbe  a Italia Viva di giocare una partita ancora più ampia a livello nazionale e di accreditarsi come aggregatore del mitico centro dello schieramento politico:  «Sì, lo so che l’asticella è molto alta. E noi siamo partiti da zero. Ma io ci credo e ci metto la faccia:  vedo tante persone, tanti amministratori pubblici, tanti delusi che vogliono parlare con noi, che chiedono per il futuro. Movimenti politici, gruppi di opinione. Perché il 22 settembre inizia una nuova partita e noi ci saremo». Daniela Sbrollini ha messo la faccia come candidata presidente di Italia Viva: vicentina di origini pugliesi, nel 2012 è stata la donna più votata nel Veneto alle Primarie del Pd. Da giugno ad oggi, stando ai sondaggi, è riuscita a riportare ossigeno nel partito di Matteo Renzi: dallo 0.5% iniziale a oltre l’1%. Non siamo ancora vicini alla soglia di sbarramento, ma è un inizio che ha dato tanto fastidio al Pd veneto. «Il loro richiamo al voto utile suona fasullo dopo 25 anni di opposizione immobile in Regione e non ho gradito che dal Pd non sia arrivata nemmeno una telefonata quando la ministra Bellanova – venuta in Veneto a sostenere la mia candidatura – sia stata aggredita verbalmente e pesantemente sui social media: un disinteresse che suona come un invito ai più violenti. Un comportamento davvero grave».

Partiamo proprio dal Pd: oggettivamente, non era meglio cercare un accordo e puntare ad un risultato complessivo più rotondo per il Centrosinistra?

«Scusi, ma con chi dovevo fare un accordo? Con quelli che dicono ai propri elettori che possono votare Zaia presidente col voto disgiunto purché mandino anche loro a fare i consiglieri? Questa è follia pura! Mi sono seduta a quel tavolo, ma i giochi erano già belli che fatti. Il Pd pensava soltanto al numero dei propri consiglieri da strappare. Sono vent’anni, dai tempi di Cacciari, che non si investe su una persona, su un progetto, che non si cerca di costruire un’alternativa. Loro sono quelli dell’opposizione invisibile e, del resto, le percentuali che raccolgono ad ogni elezione vanno proprio nella direzione dell’invisibilità. Li conosco bene».

Anche nel Centro, comunque, son dolori: Forza Italia rischia il flop e per avere voti ha accolto Flavio Tosi.  Rischiate di non trovare nemmeno degli interlocutori.

«E cosa dovremmo fare, mollare? In realtà sono i partiti ad avere problemi al centro, perché la base elettorale invece c’è. Soltanto che adesso è delusa, senza un riferimento, schiacciata dal doppio populismo. Io ho parlato con tanti politici dell’area moderata e ci siamo detti le cose chiaramente. Capisco che  – davanti ad una riconferma di Zaia, bravissimo nel dividere i Comuni in serie A e in serie B a seconda dell’appoggio che riceve – in tanti abbiamo scelto di non metterci la faccia oggi. La paura c’è anche nel nostro Veneto, non creda. Per cui io vado avanti, facendo proposte. Gentilmente, ma con determinazione. Potrebbe nascere qui, dopo il voto, un esperimento politico nuovo. Anzi, noi siamo l’unica vera novità di questa elezione regionale. Tutto il resto è già stato visto e rivisto. Con quali risultati lo sappiamo…»

Poniamo che superate lo sbarramento…

«Anche se ci fermassimo al 2, 2 e mezzo per cento, il significato nazionale sarebbe importante. Perché il Veneto non è una regione qualsiasi per popolazione e peso economico. Sarebbe un segnale forte verso i tanti stufi della rissa continua, la conferma che esiste uno spazio riformista, europeista, capace di aggregare e non di dividere, dalla cultura di governo.  Un progetto costruttivo e non conflittuale».

Sogniamo ancora un po’ di più: al posto di Zaia che farebbe?

«Chiamerei subito Roma e chiederei un tavolo immediatamente per la nostra quota parte di Recovery fund. Scenderei a Roma con già l’elenco delle cose da fare e un cronoprogramma. E questa sarebbe la vera rivoluzione rispetto alla mancanza di programmazione del governatore Zaia che non è stato capace di fissare un’agenda vera per il Veneto. E’ stato capace di lamentarsi del Governo, ma oltre alle polemiche non è andato. Adesso che c’è l’occasione di poter investire ci vuole una capacità negoziale ed una progettazione che siano all’altezza delle potenzialità del Veneto».

Lei è vicentina, altra provincia esclusa dal “triangolo d’oro” Padova-Venezia-Treviso…

«Dice bene, il Veneto occidentale è restato fuori dal radar di Zaia. Ma io ho trovato eccellenze e potenzialità da sviluppare in tutte le sette province. La Regione deve cambiare, anche in un’ottica di vero decentramento di funzioni e di rispetto delle autonomie dei territori. A parte le chiacchiere, siamo all’anno zero anche su questo».