(di Gianni De Paoli) Oggi a Roma un carabiniere ha legittimamente ucciso un delinquente siriano, pregiudicato, che aveva aggredito e ferito al petto con un cacciavite un collega durante un intervento seguito ad una segnalazione di movimenti sospetti in uno stabile dell’Eur. Adesso aspettiamoci la solita litania dei buonisti, dei difensori dell’immigrazione clandestina, degli attivisti di “Nessuno tocchi Caino“. E pazienza.

Ma dovremo anche assistere all’indecoroso spettacolo della messa in stato d’accusa del carabiniere che ha sparato. Perché, per cosa e come l’ha fatto? Invece di sparargli, non poteva fermare il delinquente mettendogli il sale sulla coda? E scartoffie, udienze, processi e magari la condanna civile a risarcire i danni ai parenti del morto. Non è uno scherzo. E’ già successo. Carabinieri e poliziotti messi sotto processo per essersi difesi o per aver difeso gli altri. Ma anche semplici cittadini che hanno difeso il sacrosanto diritto alla proprietà privata e all’inviolabilità del domicilio come Michelangelo Rizzi, l’imprenditore di Sandrà che nel 2006 aveva ucciso con la pistola regolarmente detenuta un ladro che aveva sorpreso a rubare a casa sua. 

Da quel giorno la sua vita viene sconvolta: avvocati, tribunale, condanna per eccesso di legittima difesa, problemi di lavoro e famigliari, spese, difficoltà economiche, tanto che decide di andarsene dall’Italia, una Patria che non garantisce le persone oneste che si difendono e che, codici alla mano, sta dalla parte dei ladri. Si reinventa come ristoratore a San Domingo e si rifà una vita. Ma durante la pandemia s’ammala. Non può tornare in Italia, dove avrebbe potuto salvarsi, a curarsi per le note restrizioni da covid. A S. Domingo la medicina è quella che è. A 51 anni è tornato a Castelnuovo in una bara.

E come lui, quanti altri italiani, carabinieri, poliziotti e normali cittadini hanno avuto la vita rovinata per essersi difesi da qualche delinquente? Ci auguriamo che non sia così per il carabiniere di Roma.