Oggi è la giornata mondiale dell’Alzheimer. Fino a qualche decennio fa non si sapeva neanche cosa fosse. Poi, con l’aumento della durata della vita, è diventata una malattia sociale, perché più vecchi ci sono, più sono le persone che si ammalano di questa malattia neuro-degenerativa. In Italia, il paese con l’età media più alta, sono un milione. Un milione di malati, ma anche un milione di famiglie che in qualche modo si possono considerare “ammalate”, perché l’Alzheimer non colpisce solo la persona che ne è affetta, ma anche i suoi famigliari che la devono accudire. Perciò è una malattia sociale, perché coinvolge, direttamente e indirettamente, milioni di italiani. Non essendoci delle strutture specifiche, il più delle volte le famiglie devono arrangiarsi. Il ricorso alla “badante” è il sistema più diffuso – che cosa sarebbe successo se non ci fossero state le “badanti”?– ma per coprire tutte le 24 ore è necessario comunque l’impegno dei conviventi.
Chi ne è colpito, dapprima ha solo quelle che subito appaiono come delle dimenticanze, dei vuoti per quel che riguarda la memoria recente. Poi iniziano dei comportamenti anomali -manie, aggressività, psicosi, confusione o torpore mentale- ed un progressivo peggioramento della memoria fino a non riconoscere più nemmeno i famigliari. I sintomi ed il decorso variano da persona a persona e sfociano in problemi neuromuscolari, come l’incapacità di camminare e di controllare i movimenti, fino all’impossibilità di deglutire, paralisi spastica, totale incoscienza.
Il malato di Alzheimer ha quindi bisogno di tutto e chi vive con lui ne è totalmente assorbito ed a volte subisce dei contraccolpi psicologici da dover ricorrere a delle cure.
La causa della malattia, che consiste in una degenerazione delle cellule nervose del sistema nervoso centrale, è sconosciuta. Di conseguenza non esiste una terapia. Tutto ciò ne fa un altro di quei problemi a cavallo fra sociale e sanitario di cui il SSN deve farsi carico più di quanto abbia fatto finora.