La ripresa economica è la terra promessa: se ci arriveremo, e chissà quando, sarà solo dopo la traversata di un deserto arido e sconfinato. Questo vale per i negozi, ma anche per settori in apparenza solidi e inattaccabili: ad esempio le automobili. Continua infatti il momento difficile per l’automotive: nel mese di agosto la provincia di Verona è l’unica del Veneto ad aver fatto segnare un calo di immatricolazioni rispetto allo stesso mese del 2019 (1.523 auto contro 1.876, quasi il 19% in meno). A livello regionale si registra invece una crescita del 4,7%, con aumenti a doppia cifra in cinque province su sette. Da gennaio ad agosto, essenzialmente a causa della pandemia, le immatricolazioni nella provincia di Verona sono state 12.291, con un calo del 43% rispetto al primo semestre dello scorso anno. Anche in questo caso il Veronese è maglia nera del Veneto, che nei primi otto mesi ha registrato un -39,6%.
Anche la Verona degli acquisti deve stringere la cintura. I dati di Federazione Moda Italia-Confcommercio hanno confermato che anche in luglio e agosto il 62% delle aziende ha subito un calo nelle vendite rispetto agli stessi due mesi del 2019, mentre solo il 16% ha visto crescere il fatturato e il 22% è chiuso su posizioni stabili. Nella media il calo è stato del 17%. I più colpiti gli esercizi nei centri delle grandi città, mentre hanno contenuto i danni i negozi in periferia e quelli dei centri minori e delle località turistiche, dove si è registrata perfino qualche soddisfazione.
Secondo Mariano Lievore, il presidente provinciale veronese di Federmoda-Confcommercio, che valuta anche i dati regionali di Federmoda Veneto, “si è fatta sentire pesantemente la mancanza di turisti. Invece per quanto riguarda i saldi, aver spostato in avanti quelli estivi ha avuto un effetto positivo: anzi, chiederemo che anche per l’inverno vengano proposti nel mese di gennaio”.
Della stessa opinione il presidente nazionale Renato Borghi: “Ci preoccupa il calo dei turisti ma anche l’eccessivo utilizzo del lavoro online da casa, che ha creato a un cortocircuito dei flussi soprattutto nei centri delle maggiori città. Stimiamo un calo di 5,7 miliardi di euro, pari al 75% dei proventi dal turismo da shopping che, sommato alla riduzione delle vendite sul mercato interno, potrebbe causare nel complesso la chiusura di 17 mila negozi della moda con una perdita di occupazione pari a di 35 mila addetti”.
Il comparto retail, già stressato per la concorrenza del web, è tra le principali vittime del Covid. I commercianti suggeriscono di far rinascere i centri storici “acquistando nei negozi di prossimità, che rappresentano l’anima delle città. Ma per farlo – spiega Borghi – servono contributi a fondo perduto e riforme fiscali che aiutino il mercato a reggere. Inoltre una liquidità pronta e veloce, perché le banche devono essere al servizio di tutti coloro che fanno impresa e non solo di chi può permetterselo. Ne va anche del Made in Italy”.