(di Gianni De Paoli) I cinquestelle sono in pena crisi. Grillo è nervoso, perde le staffe. Fico vede la malaparata e comincia a pensare di tornare a Napoli a fare il sindaco. Di Maio si nasconde dietro al solito, stereotipato, immotivato sorriso. Di Battista, il rivoluzionario, scalda i muscoli, ma al massimo farà il liquidatore. I peones dormono preoccupati e fanno quattro conti sul tempo che resta loro per godersi la vincita alla lotteria del 2018. Più di qualcuno se ne va, altri litigano. L’aria è da redde rationem, da messa sul banco degli imputati dei capi. Il grillismo è finito. Lo certificano le ultime regionali, un disastro. Nè il referendum cui Di Maio s’aggrappa riesce a distrarre la base, sia quella dei parlamentari sia quella dei militanti, dalla crisi che li ha travolti.
D’altra parte è durato anche troppo per essere un fenomeno costruito sul nulla. La demagogia, come la bugia, ha le gambe corte. E l’antipolitica ha fatto il suo tempo. Un’anomalia il M5S, non foss’altro per essere di proprietà di una sola persona, Gianroberto Casaleggio che poi lo ha lasciato in eredità al figlio Davide, attuale proprietario. Roba mai sentita prima. Una colossale presa in giro, a partire dalla piattaforma Rousseau, dove viene esercitata la “democrazia” interna, che è sempre di proprietà del medesimo signore. La password ce l’ha lui!
Una disgrazia per l’Italia. Basta pensare a chi lo rappresenta. Una disgrazia per la democrazia, per la quale è paragonabile ad un virus che, una volta insinuatosi nei suoi gangli vitali, la snatura e la uccide. Chissà se un giorno, scrivendone la storia, verrà fuori che era stato messo in piedi dai poteri forti internazionali all’indomani della grande crisi di Wall Street per convogliare la protesta popolare su un binario morto. Se così fosse, ci sono riusciti. E’ da 10 anni, da quando ci sono i grillini, che in Italia c’è un governo non eletto dal popolo. Che combinazione.