Gli esami non finiscono mai, diceva Edoardo De Filippo. Ed è vero, nella vita e anche in politica. Ogni elezione è un esame, dove ci sono promossi, rimandati e bocciati. Fra i bocciati di queste regionali c’è Matteo Renzi. Lui ha cercato di riciclarsi, uscendo dal Pd, provando una strada più centrista, in modo da offrire un’eventuale sponda a quel che rimane di Forza Italia, ma gli è andata male, molto male. Non c’è dubbio che il chiacchierone toscano abbia una sua intelligenza ed una sua capacità di “vendere” sul mercato politico. Solo che c’è un piccolo particolare: non ha più merce da vendere. Quella che nel 2014 l’aveva messo al centro del mercato, proiettandolo di colpo da sindaco di Firenze a Palazzo Chigi, senza nemmeno passare dal Parlamento, era la sinistra borghese, tranquillizzante, capitalista, amica delle banche. Una sinistra non più sinistra, di cui lui, ex boy-scout democristiano, era il garante in funzione di raccogliere il consenso del centro moderato che fu prima della Balena Bianca, di Craxi e di Forza Italia e che oggi non c’è più.
Non c’è più perché si è allocato nella Lega, in Fratelli d’Italia e anche nel Pd, dopo che la sinistra di D’Alema e Bersani se n’è andata. Il progetto politico di Renzi è saltato col referendum costituzionale del 2015, dopo il quale aveva promesso che, sconfitto, se ne sarebbe tornato a casa. Poi lui a casa non c’è tornato e ha continuato a fare politica. Ma la sua leadership, la possibilità di avere un suo ruolo di vertice nella politica italiana è finita lì.
“Italia viva” è nata morta. Le regionali sono state la bocciatura definitiva del tentativo di Renzi di sopravvivere. Un bel problema per quelli, come l’on. Davide Bendinelli, che solo pochi mesi fa ha lasciato Forza Italia morente per andare in un partito nato morto.