(di Davide Rossi) La promulgazione della Carta del Carnaro cent’anni fa rappresentò uno dei momenti più significativi dell’esperienza di Gabriele d’Annunzio a Fiume. Tutto originava da un colpo di mano che aveva portato alcune centinaia di volontari e di disertori del Regio Esercito a prendere il controllo senza colpo ferire la mattina del 12 settembre 1919 di una città contesa tra i vincitori della Prima Guerra Mondiale. Si trattò di una sedizione che nelle intenzioni dei promotori voleva ricollegarsi al volontarismo garibaldino risorgimentale, ma agli occhi delle classi dirigenti rappresentò un allarme in merito alla lealtà delle truppe uscite vittoriose dal conflitto che aveva portato a conclusione il percorso di riunificazione nazionale. D’altro canto nei mesi in cui il Vate ed i suoi legionari furono presenti a Fiume al fine di inverare la Dichiarazione del 30 ottobre 1918 in cui il Consiglio Nazionale Italiano aveva chiesto l’annessione, in Europa si consumarono altre appendici della Grande Guerra: il conflitto russo-polacco con ripercussioni in Ucraina, la guerra greco-turca, l’intervento rumeno contro l’Ungheria comunista, i corpi franchi tedeschi in azione contro le rivendicazioni polacche nella Germania orientale, le mire di Belgrado nei confronti di Stiria e Carinzia.

Il regno dei Karađorđević rappresentava parimenti l’antagonista dell’Italia al confine orientale per l’assegnazione delle aree multietniche della Venezia Giulia, della Dalmazia e di Fiume appunto. Quest’ultima era stata lasciata dal Patto di Londra del 26 aprile 1915 ad un Impero asburgico ridimensionato e privo di Trieste, il suo porto più importante, promesso all’Italia congiuntamente a Gorizia, Istria, confine del Brennero, Dalmazia centro-settentrionale e ampliamenti coloniali. La parziale soddisfazione di quanto pattuito affinché l’Italia muovesse guerra agli ex alleati della Triplice cui era legata dal 1882 alimentò la retorica della vittoria mutilata (termine di forte impatto in un Paese in cui i mutilati di guerra si contavano a decine di migliaia). L’atavica precarietà delle maggioranze di governo, la conversione dell’industria bellica, il reinserimento sociale dei reduci, l’organizzazione delle Nuove Province, la paura di una rivoluzione comunista o di un colpo di mano militare e la posizione di subalternità nei confronti di Londra e Parigi nella definizione dei nuovi assetti creavano in Italia una situazione di instabilità in cui il blitz dannunziano su Fiume poteva fare veramente da detonatore. Nulla accadde entro i confini del Regno, di tutto sarebbe avvenuto sulle rive del Carnaro.

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D’Annunzio che esordisce con una pesante missiva nei confronti di Benito Mussolini che nulla faceva per fiancheggiare la sua impresa e riceve invece la visita e l’appoggio del futurista Marinetti. Futuri gerarchi del fascismo locale e nazionale che presidiano la città liburnica assieme ad esponenti del futuro antifascismo. Generali che abbandonano indignati la «città di passione» dopo che il capitano degli alpini Giuseppe Piffer redige sotto la supervisione del Comandante d’Annunzio un “Nuovo ordinamento dell’esercito liberatore” che ridimensiona il ruolo degli ufficiali creando un esercito di manipoli e di nuclei che afferiscono direttamente al vertice della gerarchia militare quasi senza la mediazione dei comandi intermedi. Massoni, imprenditori e industriali che si barcamenano tra il governo di Roma e la dirigenza fiumana auspicando l’annessione e affari verso la Mitteleuropa, collegata allo scalo adriatico da una ferrovia eredità dell’amministrazione ungherese.

L’aviatore Guido Keller che, dopo essere stato protagonista del sequestro degli automezzi che nella notte tra l’11 ed il 12 settembre portarono la colonna dannunziana a Fiume, avrebbe provveduto al sostentamento della città rinverdendo i fasti degli uscocchi, i corsari che avevano imperversato nell’Adriatico ai tempi della Serenissima. L’intellettuale belga Leon Kochnitzky ed il giornalista statunitense Henry Furst che auspicano per Fiume la leadership della Lega dei Popoli Oppressi, cioè delusi dalla conferenza di pace e bistrattati dalla nascente Società delle Nazioni, laddove militari ed agenti dei servizi segreti si accontenterebbero di fare della «città olocausta» il punto di riferimento dei separatisti croati, sloveni, montenegrini ed albanesi nei confronti di Belgrado. Il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, che a gennaio 1920 diventa Capo di Gabinetto del Comandante e confeziona la versione originale della Carta del Carnaro.

La Costituzione della Reggenza Italiana del Carnaro, proclamata nelle more dell’agognata annessione, verrà promulgata il successivo 8 settembre dopo essere stata perfezionata da d’Annunzio. Un bicameralismo in cui alla rappresentanza popolare si affiancava quella delle categorie produttive, il recupero delle autonomie comunali d’epoca medioevale, la figura di un dittatore che assumeva pieni poteri nei momenti di crisi, la parità di diritti senza discriminazioni: molteplici sono gli spunti che ne fanno un documento d’avanguardia nell’ambito delle rivendicazioni sociali ed il più originale tra i testi costituzionali redatti dagli Stati nati dalle temperie bellica da poco terminata. Ancorché irrealizzata nella quotidianità, la Carta del Carnaro rappresenta la sintesi delle passioni e delle aspirazioni che dettero vita a quel magma culturale che Renzo De Felice ha definito «fiumanesimo».

Il Trattato di Rapallo firmato a novembre 1920 da Italia e Regno serbo-croato-sloveno avrebbe definito il confine sulla displuviale delle Alpi Giulie e dato vita allo Stato Libero di Fiume, destinato a breve vita. Per la popolazione fiumana, esausta dopo mesi di isolamento e disorientata dai progetti politici magniloquenti ma inconcludenti della dirigenza dannunziana, era già un motivo di gioia non essere entrata a far parte dello Stato slavo. La mancata annessione all’Italia e la cessione a Belgrado di tutta la Dalmazia eccetto Zara convinsero invece d’Annunzio e i suoi legionari a resistere alla smobilitazione che le truppe italiane dovettero attuare con la forza e le cannonate nelle giornate del Natale di Sangue.