“Stiamo facendo una ‘chiamata alle armi’, dobbiamo richiamare medici e infermieri. Qui è peggio che a marzo“. Queste le dichiarazioni fatte ieri all’ANSA dal dott. Claudio Micheletto, direttore dell’unità di penumologia dell’Azienda ospedaliera di Verona, dove da ieri è stato riaperto il reparto riservato ai pazienti Covid.
Micheletto vede che non sono più i vecchi, i debilitati da altre patologie ad essere ricoverati, ma i cinquantenni, persone attive, in gamba con intensa vita sociale. E questo preoccupa. E ancora una volta indica nella mancanza di personale il punto critico. Mancano medici e infermieri. Non è una novità. Lo si sa da qualche anno, ma detto in un momento come questo – anzi, ripetuto, visto che lo stesso problema era emerso chiaramente anche a marzo-aprile- suona come una denuncia di quello che non è stato fatto prima.
Perché insistono a mandare in pensione medici che a 70 anni sono ancora validi, attivi ed hanno voglia di lavorare? La risposta idiota è sempre quella, come se fossimo cinquant’anni fa: perché bisogna far largo ai giovani, creare posti dilaverò per loro. Ma se giovani medici non ce ne sono abbastanza per le scelte sciagurate che sono state fatte da vent’anni a questa parte con il numero chiuso alla Facoltà di Medicina e con pochi posti nelle scuole di specializzazione, che scuse sono? Perché la Fimg, il potente sindacato dei medici di base non dice neanche bah? E perché i sindacati dei medici ospedalieri non hanno mai protestato per il “numero chiuso” a Medicina, che è il problema che sta a monte di tutto? I nodi, cari signori, vengo al pettine prima o poi. E se il cosiddetto “numero programmato” viene programmato in base alle esigenze dell’Università invece che a quelle della sanità, se viene deciso dal Ministero dell’Università invece che dal Ministero della Salute poi succede quello che sta succedendo.