Delle restrizioni decise dal governo la più contestata e contestabile è quella che riguarda la chiusura dei ristoranti alle sei di sera. Conte non l’ha spiegata come avrebbe dovuto. E gli italiani, non solo i ristoratori e le altre categorie interessate, non l’hanno proprio capita. Allora cerchiamo di farlo, serenamente e tenendo presente che è primaria la lotta al contagio. Alla base della chiusura serale di ristoranti, bar, pizzerie, pasticcerie e gelaterie c’è la necessità di ridurre i contatti interpersonali: il famoso “distanziamento sociale“, che ora si preferisce chiamare più propriamente “distanziamento personale“. In sostanza il governo ritiene che meno occasioni ci sono di aggregazione meglio è. Ragionamento che in marzo portò al lockdown, che però adesso viene escluso perché non solo è insostenibile economicamente, ma anche perché gli strumenti per dominare il virus sono migliorati. 

Uno dei pilastri della logica è il principio di non contraddizione ( Aristotele). Esso però viene bellamente calpestato dal DPCM dell’altro ieri. Come si fa a chiudere i ristoranti, peraltro già regolamentati, e mettere la testa sotto la sabbia sulla ressa che avviene ogni giorno sui mezzi pubblici? Non è forse quello il vero problema? E se non sono capaci di risolverlo perché in questi ultimi sei mesi se ne sono dimenticati, che senso ha prendersela con i ristoratori? 

Oddio, non tutti i ristoratori seguono scrupolosamente le regole. Li abbiamo visti tutti. Ma non è che per pochi devono pagare tutti. La soluzione ci sarebbe. Basterebbe far chiudere i ristoranti alle 23, mantenere le regole di distanziamento e di capienza che c’erano fino a ieri e stangare chi sgarra. Certo ci vuole chi va a controllare: vigili, carabinieri, polizia, finanza. Se qualcuno non osserva le regole, ritiro della licenza e chiusura del locale. Ma solo per chi non rispetta le regole. Gli altri lasciamoli vivere.