Il covid è il catalizzatore di una reazione, non chimica ma politica. Il malcontento c’è ed è esasperato dalla pandemia, ma c’era anche prima. Solo che adesso molti cominciano a essere in difficoltà. I primi a pagare per la crisi sono i lavoratori autonomi, che sono incazzati per un motivo di fondo. Un conto è se un imprenditore è costretto a chiudere la sua attività che gli permette di vivere e di mantenere la famiglia per dei suoi errori o per una sua incapacità. Un altro se deve chiudere per legge. Nel primo caso, pur disperato, non se la può prendere con nessuno se non con sé stesso. Nel secondo vive la chiusura come un’imposizione, come un’ingiustizia che proviene dallo Stato. Per questo nei paesi civili, come fanno in Germania e negli Usa, viene versata sul conto corrente, senza tante domande, semplicemente con un bonifico, una cifra, congrua, che consente di mantenere l’attività e di vivere.
Da noi invece non solo la cifra non è congrua, ma bisogna anche “fare domanda“. L’hanno dovuta fare sei mesi fa, e quelli che non l’hanno fatta allora la devono fare adesso. Ma quale domanda? Lo Stato lo sa chi sono i ristoratori che devono essere “ristorati”? Ha in mano denunce dei redditi e i conti correnti. Sa vita, morte e miracoli di ciascuno di noi. Che bisogno c’è allora della “domanda“, se non quello di mettere sempre il cittadino in soggezione, nella condizione di chiedere per un suo diritto? E allora la gente s’incazza ancora di più. Ma non è finita.
Per ora i lavoratori dipendenti non si sono accorti quasi di nulla. Hanno la cassa integrazione che ammortizza la caduta. Ma a gennaio, a febbraio o a marzo, come chiedono i sindacati finirà e l’incazzatura s’allargherà anche ai lavoratori dipendenti. Cioè a tutti. Ci sarà un intero popolo a protestare. Forse ha pensato a questo Mattarella convocando il Consiglio Supremo della Difesa.