(di Carlo Rossi) Indietro di dieci anni. È l’effetto del lockdown imposto dall’emergenza sanitaria, secondo le stime di Aibi (Associazione italiana bakery ingredients), sul consumo di pane. La quarantena avrebbe fatto riscoprire agli italiani l’arte bianca. Non soltanto fra le mura domestiche, con il boom della panificazione a casa, ma anche nelle botteghe e nei panifici. Il consumo pro-capite di pane è cresciuto del 10%, stima Aibi e secondo la ricerca AIBI-Cerved, l’85% del pane acquistato in Italia è fresco e artigianale: in media se ne producono 1.500.000 tonnellate l’anno, per un consumo pro-capite giornaliero di 80 grammi. Ciabatta, Micca, Biova, Grissino, Libretto, Focaccia, Piadina, Pagnotta, Casareccio, Papalina sono alcune delle forme e dei gusti di pane che legano la loro esistenza, parla alla storia del territorio e alla mano di chi le ha create.
A Verona un alimento importante da sempre, al punto da regolarne attentamente la produzione come avvenne con gli Statuti del 1327 per l’arte dei “Pistores”. Nella storia rimase la carestia che fece da prologo, verso metà del cinquecento, alla festa del Carnevale, che trae origine da una sollevazione del popolo contro i fornai avvenuta a Verona nel 1530 in seguito a una terribile carestia, causata da un’improvvisa inondazione dell’Adige e aggravata dal sacco delle truppe germaniche che attraversarono il veronese, dopo la Pace di Cambrai. Ai tempi degli austriaci, la Provianda di Santa Marta era destinata alla produzione di pane e gallette, oltre che al deposito e all’amministrazione di altri generi di sussistenza per l’esercito austriaco impegnato nel nord Italia a contrastare le guerre d’indipendenza.
Un esempio di storia e qualità: il Panificio Adami a Castelnuovo del Garda dal 1933. Castelnuovo del Garda è nota per la bontà delle sue acque di risorgiva, che danno un gusto unico a diversi alimenti. Tra questi il pane. Raramente alziamo lo sguardo verso l’alto quando passiamo davanti a un negozio storico, invece dovremmo farlo. Le insegne dei negozi di una volta come quelle dei panifici storici sono vere e proprie opere d’arte Difficile non accorgersi di uno storico panificio che dà sulla via principale: il segnale più evidente non è l’insegna ma il profumo invitante che emana. Da quattro generazioni la famiglia Adami – oggi, con Andrea alla guida – sforna con metodo tradizionale e lievito madre anche se negli ultimi anni ha integrato la produzione con farine e proposte come farro, integrale, soia, segale e pane funzionale (ricco di fibre e povero di sodio) che valgono l’assaggio, così come i lievitati della tradizione e i prodotti salati da forno.
«Il pane, per l’italiano, significa casa, famiglia, tradizione, ristoro – sottolinea Andrea, classe 1977 – e non stupisce che, in un momento delicato come quello attuale, si riscopra questo alimento, facendo giustizia anche dei molti pregiudizi e delle fake news che lo hanno colpito negli ultimi anni».
Il consumatore non vuole sempre lo stesso pane, cerca variabilità e qualità, genuinità, apporto nutrizionale. Vincono quindi i prodotti con grani antichi, farine poco raffinate, macinate a pietra o integrali, con semi, fibre e a basso contenuto glicemico, farro, soia, segale e multi cereali. Ma soprattutto vince la pagnotta, che viene utilizzata per impieghi diversi, quasi un pane “multitasking”. «Il mio bisnonno faceva il casellante poi nacque nel 1908 mio nonno Ettore e nei primi anni trenta sposò mia nonna Emilia, sorella degli Aldrighetti del panificio di Cavalcaselle. Ettore rileva, insieme a suo papà Fortunato, nel 1933 il panificio storico del paese. Qui c’era all’epoca già la stanza della pasta fresca, dove si facevano i bigoli. Ma il mulino l’avevamo anche noi. Oggi sforniamo più di 15 tipi di pane e 3 tipi di grissini, brioches e pasticceria secca» sottolinea Andrea. Pane e storia sin dagli anni trenta, come testimoniano le fatture di acquisto delle materie prime ancora perfettamente conservate.