(di Bulldog) La notizia è dell’evergreen Lillo Aldegheri sul Corriere di questa mattina: il Comune ha preso i due milioni di euro messi da parte per partecipare all’aumento di capitale di VeronaFiere e li spenderà per sistemare strade, l’asilo notturno del Camploy e il castello di Montorio. Tutte iniziative lodevoli, per carità. Però questa notizia fa sorgere un dubbio: davvero si vuole salvare VeronaFiere? Perché se neppure il suo azionista di riferimento si prepara a mettere mano al portafoglio ed a ricapitalizzare l’ultimo dei suoi asset strategici, figuriamoci tutti gli altri…infatti, ad oggi, soltanto la BCC di Concamarise ha fatto diligentemente la sua parte. Però la piccola banca – che con questo gesto di fiducia ha fatto molto di più di azionisti di ben altro peso, chapeaux ai suoi dirigenti! – è, appunto, una piccola banca con poche azioni in portafoglio. Meno dell’1%. Vi ricordo lo scenario: le fiere sono chiuse da marzo, la perdita di fatturato viaggia pericolosamente verso l’80% ed oltre. Ad oggi, la fiera scaligera è rimasta in piedi mandando il personale in cassintegrazione e utilizzando i prestiti delle banche e CDP e, si mormora, gli anticipi degli espositori del Vinitaly scorso. La seconda ondata del Covid ha bruciato gli incassi di Wine-to-wine (il mini Vinitaly di novembre) e di FieraCavalli.
Certo, la crisi ha colpito anche i competitor, ma Verona così è diventata una “magnifica preda”. Fra poche settimane basterà presentarsi con un assegno e se nessuno dei soci attuali metterà altrettanti soldi sul piatto sarà facile vedere la Fiera cambiare padrone. Il mondo infatti non è rimasto fermo: la fiera di Bologna e quella di Rimini (che nel passato ha rilevato la fiera di Vicenza che, in teoria, sarebbe già veronese se il management non avesse bloccato il progetto di Ettore Riello) hanno deciso di fondersi creando un polo da 400 milioni di fatturato (ante covid). Una realtà grande quattro volte Verona che è il primo organizzatore diretto di fiere in Italia e che finora si è mossa con lentezza nel risiko delle fiere trovando un solo accordo con Parma sul sistema food. Ora magari i soci veronesi attendono i soldi da Roma o da Venezia (ma la Regione che pure è azionista col 5.54% del capitale direttamente ed attraverso l’Agenzia Veneta per l’innovazione del primario non ha mostrato il becco d’un quattrino); magari attendono la Fondazione CariVerona che però avrebbe condizionato il suo assegno ad un cambio deciso nella gestione; magari attendono un cavaliere bianco che già c’è e ci mostreranno a breve, quando verrà completata la due diligence della fiera e si scoprirà che invece dei 30 milioni ottimali in primavera ne serviranno magari molti di più per salvare il salvabile. Magari, direte invece voi, pensiamo soltanto male noi. Ma a pensare male si fa peccato, ma non ci si sbaglia di troppo. Di certo, VeronaFiere chiede oggi la massima attenzione. Perderla vorrebbe dire consegnare ai concorrenti un bel paio di forbici con cui…