(di Gianni De Paoli) Quello che sta accadendo alle elezioni presidenziali americane è la manifestazione di uno scontro per il controllo della più grande potenza politica, economica e militare del mondo. Tutto negli Usa è grande, esagerato, enfatizzato, ma mai s’era visto prendere forme visibili a tutti lo scontro fra due gruppi di potere, fra due partiti. Uno scontro che viene da lontano e che nel tempo ha assunto forme diverse, anche trasversali alla classica divisione repubblicani/democratici. Uno scontro che anche quando Trump aveva vinto quattro anni fa era continuato a colpi di scandali, denunce, campagne denigratorie e interventi dei servizi segreti. Cosa non nuova nella storia americana, dove è stato fatto fuori anche un presidente in carica, John Kennedy, e suo fratello Robert, mentre si accingeva a sostituirlo alla Casa Bianca. Come si sa non si sono mai conosciute le vere ragioni di questi due assassinii. Ma rileggendo quello che disse Robert Kennedy pochi giorni prima di essere ammazzato si può ben capire quali siano le ragioni profonde dello scontro che continua anche oggi.
«Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del Pil. Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani».