(di Stefano Tenedini) Zona gialla o arancione che sia, il Covid-19 sta lasciando pesanti segni sull’economia del Veneto, sul lavoro e sulle famiglie. Il bollettino socio economico diffuso dalla Regione riporta una previsione di calo per il Pil veneto del 10% a fine 2020, parallela al -9,6% della media nazionale. L’analisi, che raccoglie i dati alla fine del secondo semestre, ipotizza una riduzione anche per i consumi delle famiglie dell’11,9%, e per gli investimenti del 12,8%. Sempre a proposito del Prodotto interno lordo, la Regione rileva che dopo un +0,5% del 2019 nel secondo trimestre il calo è stato dello 0,6%, più marcato per i comparti industriale e agricolo mentre invece il terziario ha retto meglio, perdendo lo 0,4%.

La pandemia comunque è il vero “competitor” dell’economia veneta in uno sconfortante 2020. Poco meno di un’impresa su tre è riuscita a rimanere attiva lungo tutto il lockdown, mentre il 32% ha fermato l’attività anche se l’ha potuta riprendere prima del 4 maggio, a differenza del restante 38,9% che è ripartito solamente dopo. Il 40% delle imprese venete in marzo e aprile ha perso metà del fatturato rispetto all’anno scorso, e un ulteriore 12,6% tra aprile e maggio non ha proprio fatturato. Nel semestre sono state esportate merci per 27,5 miliardi di euro (-14,6% sul 2019). Tra i settori solo il chimico-farmaceutico registra un saldo positivo dell’8,2%; cali consistenti per moda, macchinari e forniture mediche. Per il settore food & wine (protagonista delle annate precedenti, con Treviso e Verona ai primi posti nella classifica italiana delle province con maggiore ricaduta economica delle filiere vinicole) nel semestre il lockdown ha costretto l’export a una brusca frenata.

Rimanendo ai settori economici, si nota che per il turismo dopo il 2019 da cifre record (20 milioni di arrivi e 71 milioni di presenze), il 2020 era iniziato bene in gennaio (+8,1%) e si era però spento subito in febbraio (-7,4% gli arrivi ma +2,1% le presenze in montagna). Da marzo in poi il crollo: -84%, -96%, -93%, -79%. A luglio la ripresa con un +3,2% di italiani e un +25,5% dei veneti. Ad agosto però un nuovo tonfo del 28% ha riportato in negativo la media dei primi otto mesi, al -56%, soprattutto per l’assenza dei turisti stranieri. A Verona la triste vetta della classifica, con il -63% delle presenze, davanti a Padova (-61,9%), Treviso (-58,1%) e Venezia che ha perso il -56,5%. Il capoluogo veneto però soffre ancora di più il dato, perché l’economia lagunare senza turismo non può praticamente sopravvivere.

Situazione drammatica anche per il lavoro. Diminuiscono sia gli occupati che i disoccupati, perché stanno aumentando fortemente gli inattivi in età lavorativa. Il tasso di occupazione a fine giugno è pari al 65,9%, contro il 67,4% di fine marzo e il 68% rilevato per il secondo semestre del 2019. Il tasso di disoccupazione, “congelato” dal Covid per l’inattività, cala al 4,7% rispetto al 5,6% stesso periodo dell’anno scorso. A giugno si contava il 10% in più di inattivi rispetto al 2019, tanto che il tasso di inattività è passato dal 27,9% al 30,8%.

La pandemia ha comportato su base annua (2020 / 2019) un calo di 19 mila posti di lavoro, circa l’1% degli occupati. In autunno si confermano i segnali di recupero rilevati da maggio in poi, anche se sempre rispetto al 2019 le assunzioni non stanno certo risalendo: -5% in luglio e -2% in agosto, anche se va sottolineato che erano al -47% nel secondo trimestre, in pieno lockdown. Le ore di cassa integrazione ad agosto sono state 25 milioni, per un totale complessivo dal inizio anno, di 269 milioni. Va male per alberghi e pubblici esercizi, ai cui lavoratori solo in aprile sono state concesse il triplo delle ore di tutto il 2013. Per comparti, da gennaio a settembre negative le assunzioni sul 2019 per turismo (-40%), moda (-35%) e metalmeccanica (-31%); bene la farmaceutica (+17%), stabili agricoltura e sanità.

Oltre alla già citata riduzione dei consumi e degli investimenti, la pandemia ha pesato sulle famiglie anche nella qualità della vita, richiamando l’attenzione sui luoghi che abitiamo: le nostre case. Il confinamento ci ha fatto riflettere se viviamo in un’abitazione adeguata alle nostre esigenze, sufficientemente spaziosa, confortevole e dotata dei servizi necessari. In Veneto le abitazioni godono in genere di buone dotazioni di base, però si segnalano alcuni problemi: non ci si fida a bere l’acqua del rubinetto, c’è troppa umidità, mancano gli spazi esterni. Tutte criticità che hanno acuito i disagi del lockdown. Sorprendentemente ancora nel 2018 il sovraffollamento abitativo riguardava il 21,8% dei veneti rispetto al 15% di dieci anni fa. In media la casa assorbe il 10,4% del reddito delle famiglie, una spesa insostenibile per il 6,5% delle persone, tanto da pesare per più del 40% sul reddito. Il 3% è in arretrato con bollette, affitto o mutuo, e il 6% non può permettersi di riscaldare abbastanza la casa.