(b.g.) La destra globale si sta ponendo in queste ore delle domande cruciali alla viglia del ritorno alla grande del mainstream di sinistra post elezione di Joe Biden: non a caso oggi Giorgia Meloni ha annullato tutti gli impegni del pomeriggio per una call coi colleghi europei (e non solo). Strategia cercasi dopo il risultato delle elezioni statunitensi e dopo la fine ingloriosa, no-deal e full lockdown, della Brexit. Di fatto, da questa sera Boris Johnson e, soprattutto, Donald Trump non sono più gli alfieri di un movimento internazionale di destra, sovranista, no-globalizzazione, no-immigrazione che aveva avuto nel muro col Messico e nell’uscita dall’Europa di Bruxelles le sue battaglie-simbolo.
La destra deve capire che strategia adottare ora, che strada prendere, dopo l’orgia populistica che ha sì conquistato tanti voti (Trump ne ha incassati oggi molti più che nel 2016), ma che non ha portato ad un cambiamento permanente. Una destra popolare più che populista, attenta ai problemi della working class, in difesa dello stato sociale e delle imprese anche quando queste non sono più competitive rispetto agli standard internazionali. Una destra nazionale, attenta ai confini, attenta alle nuove e vecchie alleanze strategiche, che torna a far politica estera in proprio, bilanciando – come? – la tradizione occidentale coi nuovi amici a Mosca e Pechino. Una destra che sta coi borgatari e non coi pariolini, che difende la piccola proprietà, la prima casa, la pensione…già da questi pochi slogan e luoghi comuni possiamo vedere come questo fronte globale della destra ha difficoltà ad esistere se non pensato a geometria variabile non potendo mettere insieme la tradizione europea con quella repubblicana statunitense o coi tories inglesi.
Di certo, si pone un problema di linguaggio – basta ricordare la narrazione di Boris Johnson prima e dopo il premierato, prima e dopo l’essersi ammalato o l’ultima uscita di Steve Bannon per decapitare il virologo Fauci -: ha senso urlare senza portare risultati? Ha senso cavalcare frange più o meno organizzate che portano una visione settaria della società? Ha senso mettere insieme chi vuole uno stato sociale enorme e chi, essenzialmente, vuole un governo il più leggero possibile? Perché, banalmente, i primi hanno bisogno di un budget statale enorme; i secondi vogliono, al contrario, un peso fiscale sempre meno rilevante.
Alla fine bisogna forse tornare ai valori fondanti della destra – banalizzo anche qui: Dio, Patria e Famiglia – coniugandoli in una narrazione nuova, più attenta alle questioni essenziali (sicurezza, crescita, debito, futuro). E probabilmente con una generazione nuova di politici: Juan Guaidó, che guida l’opposizione ai narco-comunisti del Venezuela; Felipe Casado , del Partito popolare spagnolo; Santiago Abascal di Vox; Marine Le Pen in Francia; Sebastian Kurz in Austria e Markus Söder, della CSU bavarese, o i neoconservatori USA come Marco Rubio, per citare i primi che possono interagire con Matteo Salvini e Giorgia Meloni in Italia. Facendo leva su una politica per la famiglia che sia l’opposto di quella del mainstream; chiudendo le frontiere a chi non entra regolarmente (vuol dire porsi l’onere di varare una nuova legge sul lavoro e l’immigrazione e lo scouting di competenze); trovando una politica unitaria verso la Turchia e il mondo arabo che sia di fermezza; chiudendo gli alibi latini sul debito pubblico che terrorizza i nostri amici europei; accettando di investire di più per una difesa non più dipendente dai budget di Washington; chiudendo la fase polemica con l’Unione Europea ma cercando di conquistarla con una proposta vera… Una destra così non è minoranza, anzi. Per provare a vincere, ha bisogno, però di un segnale forte di rinnovamento.