(di Giorgio Massignan, Verona Polis) L’assessore alla pianificazione urbanistica Ilaria Segala, ha affermato che nella futura variante 29 al Piano di Assetto del Territorio, verrà confermato il limite regionale di un massimo di 94,91 ettari di suolo ancora edificabile, rinunciando a chiederne, come hanno fatto tutti gli altri capoluoghi veneti, un aumento. Ha anche detto che i futuri cantieri saranno concentrati sul recupero e sulla riqualificazione urbana delle tante aree dismesse sparse sul territorio veronese. Scelta che condivido, perché non ha senso ed è dannoso consumare altro suolo verde e/o agricolo, quando esistono migliaia di metri cubi costruiti e inutilizzati.
Con questa logica, si sta procedendo alla riqualificazione degli ex Magazzini Generali, rinunciando a costruire nuovi volumi su viale del Lavoro, com’era previsto dal nuovo PRUSST, che aveva cambiato destinazione d’uso all’intera area, da commerciale a servizi. Negli anni, si sono insediati gli uffici di Unicredit; gli uffici direzionali di Glaxo SmithKline e DoValue; l’Ordine degli Architetti, degli Ingegneri, dei Commercialisti e dei Consulenti del lavoro; l’Archivio di Stato; l’ Ance, il Children’s Museum ed il Museo Dario Fo-Franca Rame.
La Rotonda, avrebbe dovuto ospitare un auditorium con annesso uno spazio per eventi e manifestazioni culturali, invece è stata, successivamente, destinata a ospitare un centro commerciale, l’ennesimo in zona, Eataly, e il parcheggio multipiano. Ma cerchiamo di capire cosa sta realmente succedendo nella area degli ex Magazzini Generali.
Negli anni Ottanta, con la definitiva attuazione del polo logistico intermodale del Quadrante Europa, i Magazzini Generali ed il fabbricato adibito agli uffici, furono dismessi e le loro funzioni trasferite nel nuovo complesso al Quadrante Europa. Da allora, l’area ha costituito un elemento strategico di riqualificazione urbanistica. La posizione del complesso dismesso, tra la ZAI ed il centro storico, rappresenta un’importante fattore di ricucitura di due importanti ambiti urbanistici della città. Nel 1987, il Comune di Verona acquisì l’intera area demaniale dei Magazzini Generali. Dal 1999 tutta l’area venne sottoposta a vincolo come patrimonio di archeologia industriale. Il Ministero dei Beni Culturali riconobbe al complesso un alto valore quale testimonianza dell’epoca di industrializzazione della città, in tutti i suoi aspetti e contenuti.
E’ interessante leggere i diversi passaggi di proprietà. Il Comune di Verona acquistò l’area dal Demanio quindi, Il 31 dicembre 2003, nell’insieme delle operazioni immobiliari tra l’Amministrazione guidata dal sindaco Tosi e la Fondazione Cariverona del presidente Biasi, gli ex Magazzini Generali furono ceduti a quest’ultima per la somma di 16 €. al mq, che a sua volta, nel 2015, li trasferì a Torre SGR SpA. La Torre SGR S.p.A. è una società con sede a Roma, controllata da Unicredit SpA con il 37,5 % e da fondi gestiti da Fortress Investiment Group LLC per il restante 62,5%. La Torre SGR, ascrivendo l’area medesima nel suo portafoglio di gestione immobiliare persegue, per statuto, il fine di massimizzare la rendita fondiaria.
Appena acquisita l’area, la Fondazione avviò un programma di abbattimenti di tutti gli edifici con vincolo indiretto, per recuperare nuova volumetria. L’intera area, nonostante fosse viva ed ospitasse fin dal 1994, l’attività di associazioni culturali, venne fatta sgomberare e poi abbandonata al degrado fisico, procurando un allarme sociale che ha portato a frettolose demolizioni e ad una frammentazione della stessa, che provocò la perdita del suo valore di insieme. Non è poi chiaro come, nonostante il vincolo di archeologia industriale prevedesse il restauro degli edifici, abbiano potuto intervenire con demolizioni e ristrutturazioni. Gli edifici ristrutturati, assieme all’ ingresso monumentale ed alla stazione frigorifera, erano gli elementi architettonici che caratterizzavano più marcatamente le attività dell’area. Sarebbe opportuno verificare se, in quell’operazione, sono stati rispettati i vincoli di legge e della sentenza del Consiglio di Stato del 2006 emessa in opposizione al Comune, che ribadiva il carattere unitario dell’area ed il vincolo di archeologia industriale.
Probabilmente, l’obiettivo della proprietà era quello di superare i diversi vincoli e di parcellizzare i vari edifici per attuare scelte d’uso differenziate, che privilegiassero le funzioni più redditizie, come quelle commerciali, terziarie e direzionali. Per ottenere questa possibilità era necessaria la sdemanializzazione dell’area pubblica, operazione favorita anche da proposte di riqualificazione della stessa con ipotesi di un polo culturale ed un auditorium in una zona, la ZAI, che ne avrebbe avuto e ne ha un oggettivo bisogno. Infatti, la Fondazione, appena acquisita l’area, sostenne il recupero della zona come: “sede museale della fondazione acquirente, nonché altre attività istituzionali nei settori dell’arte, della conservazione e valorizzazione dei beni e attività culturali”, ma, una volta ottenuta dallo Stato la sdemanializzazione, anche grazie alle ipotesi di utilizzo culturale degli edifici, ridimensionò le aspettative limitandosi a: “uno spazio polifunzionale da adibire ad auditorium per lo svolgimento di spettacoli e manifestazioni” ed un archivio da adibire a “polo archivistico regionale”. Tutto il resto uffici e commercio.
In seguito, anche la proposta di uno spazio polifunzionale, ipotizzato all’interno della stazione frigorifera, l’edificio di maggior pregio in assoluto, tramontò per l’ipotesi di un nuovo centro commerciale, Eataly. La parte più tragica di questa operazione immobiliare è proprio l’uso che si è inteso dare all’edificio della stazione frigorifera, che è stato brutalizzato sia nella tipologia che nella funzione. Nonostante la Soprintendenza abbia chiesto la catalogazione degli impianti e apparati decorativi/ funzionali, comprese le enormi e spettacolari celle frigorifere metalliche per il mantenimento del bene culturale nella sua integrità, (art.20 comma1 L42/2004), cito: “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”. In realtà, nella rotonda è previsto che al piano terra vi sia uno spazio commerciale di vendita al dettaglio; al primo piano un complesso di cinque sale ad uso culturale, di cui quattro piccole da 70 posti circa ciascuna e una da 500 posti.
L’interno è stato modificato, con poca attenzione alle strutture ed ai particolari storico-architettonici della struttura. I caratteristici settori triangolari adibiti a celle frigorifere e lo spazio centrale della cupola sono stati adattati alle nuove e diverse esigenze del centro commerciale. Con questa logica, si sono demolite alcune pareti per creare nuove passaggi in corrispondenza dei percorsi commerciali e si è forato il perimetro di ogni cella frigorifera, per realizzare nuove aperture. Attorno al tamburo della cupola si è distribuito il foyer, cui si accede dalle due scale principali. Sarebbe stato opportuno riportare la stazione frigorifera alla vecchia ipotesi di auditorium e polo culturale, ripristinando gli apparati di produzione del ghiaccio e del freddo situati sopra la galleria di ingresso, vincolati secondo l’art. 20 L’42/2004, e reintegrare le grandi e spettacolari celle frigorifere (tra cui il cosiddetto cellone), demolite, non si sa con quale autorizzazione. Della vecchia struttura e delle funzioni che ha svolto, finito il cantiere, si potrà leggere ben poco.
Solo il Polo Archivistico Regionale e il Musalab (archivio di Dario Fo), entrambi ubicati nell’edificio n. 01, per ora sono interventi riconducibili alle ragioni per cui lo Stato, tramite la Soprintendenza, in quanto bene tutelato, ha concesso la sdemanializzazione.
Con questa operazione, non si sta solo intervenendo a Verona sud, ma sull’intero territorio veronese, in particolare sul futuro del centro storico. Con la dismissione di importanti edifici situati nel centro storico ed utilizzati ad uso bancario e di servizio da Unicredit e dalla Fondazione Cariverona e con il conseguente spostamento di quelle funzioni nell’area degli ex Magazzini Generali, si rischia di provocare ulteriori e gravi squilibri urbanistici per favorire una chiara iniziativa di speculazione immobiliare. La domanda da porsi è come la Fondazione preveda di utilizzare questi preziosi edifici liberati da ogni funzione. Il cosiddetto Piano Folin, pare non risponda adeguatamente alle questioni poste.