(di Gianni De Paoli) La bocciatura di Verona quale “capitale della cultura 2022” ha sollecitato diverse critiche ed è un altro colpo all’amministrazione Sboarina. Ovvie quelle dell’opposizione, ma anche nella maggioranza c’è qualche perplessità su come è stata condotta la vicenda. Se da alcuni l’esclusione di Verona è stata letta come un ulteriore arretramento della città, altri hanno dato alla bocciatura una lettura politica sottolineando il fatto che il Ministro della cultura Franceschini (Pd) avrebbe favorito le città con amministrazione di sinistra. In realtà la questione è un’altra.
Verona la domanda di diventare “capitale della cultura” non doveva neanche farla. Di più: questo ruolo non può essere oggetto di un concorso, bensì il frutto di un riconoscimento spontaneo da parte degli altri che va costruito negli anni. Di qui il primo errore: Verona ha sbagliato a partecipare al concorso. Non solo, ha sbagliato anche ad annunciare in pompa magna la decisione di farlo, come se fosse l’inizio di un percorso in cui l’Assessorato alla Cultura organizzava chissà quali e quanti eventi, tali da rendere quasi automatico il riconoscimento perseguito. E invece -secondo errore- è stato fatto poco o niente. Alzi la mano chi ricorda un’iniziativa particolare, eclatante, di spessore organizzata dall’Assessorato a tale scopo. E non ci si attacchi all’Arena o al Teatro Romano. Questi ci sono sempre stati. E’ mancata completamente la capacità di organizzare qualcosa di qualificante e di importante se non di straordinario che s’imponesse all’attenzione non solo dei veronesi, ma dell’Italia. Terzo errore è stato quello di partecipare a un concorso mettendosi in competizione con realtà come Pieve di Soligo o Cerveteri o Procida. La gara per essere “capitale della cultura” non è la corsa coi sacchi.
Infilare tre errori così non è da tutti. Forse una riflessione complessiva su come è gestita la cultura a Verona il sindaco la dovrebbe fare.