(di Gianni De Paoli) Il sindaco di Longarone, una delle zone del bellunese più colpite dal maltempo di questi giorni, ieri s’era messo di persona in mezzo alla strada per fermare gli automobilisti che passavano per avvertirli del pericolo cui andavano incontro a causa delle frane e degli allagamenti. Ma soprattutto per cercare di convincerli a tornare indietro. Non era giornata! Alcuni di quelli che si dirigevano a nord, verso la montagna lo facevano per motivi inderogabili, per lavoro o per necessità, “ma tutti gli altri – ha dichiarato sindaco al Tg del Veneto che lo intervistava – andavano in montagna per fare tre giorni di vacanza”. E hanno proseguito incuranti non solo del pericolo derivante dal maltempo, ma soprattutto dell’emergenza Covid. “State a casa!” continua a dire Zaia con i dati dei contagi e dei ricoveri alla mano. Ma non c’è niente da fare. La gente, ovviamente non tutta, ma una parte significativa, non può fare a meno di salire il macchia, partire e andare da qualche parte. Basta che ci siano due giorni di festa. Non si sa a fare che cosa, visto il tempo da lupi. Ma deve andare a fare due o tre giorni di vacanza a tutti i costi. Anche a quello di finire sotto una frana o bloccata dalla tracimazione di un fiume. O di andarsi a cercare il contagio col lanternino. Dopo lo shopping compulsivo, la vacanza compulsiva. Una patologia sociale pericolosa. Da curare.
Che cos’abbiano in testa queste persone non si sa. Sono le stesse che appena finita la prima ondata sono andate in vacanza dopo essere state a riposo forzato per due mesi. E così hanno contribuito in maniera determinante a scatenare la seconda ondata. Probabilmente nella loro testa, in cui il ragionamento forse corre sui binari dei riflessi condizionati, dei luoghi comuni, delle compulsioni e delle frasi fatte, prevale il detto “non c’è due senza tre” e il fatto di contribuire a determinare la terza ondata dà loro una ragione di vita. Oltre, naturalmente, a quella di andare in vacanza.