(di Stefano Tenedini) Nemmeno la pausa natalizia è servita a raffreddare il confronto dai toni a tratti aspri tra Cattolica e gli ormai ex partner di bancassicurazione del Banco BPM. Da Milano arrivano infatti segnali che lo scontro in atto è ormai passato dai comunicati e dalle pagine dei giornali alle carte bollate: lo confermerebbe la discesa in campo di alcuni tra i più importanti studi legali esperti di diritto societario: quello guidato dall’avv. Carlo Pavesi per il Banco BPM da un lato, al quale si oppongono il prof. Mario Cera per Cattolica Assicurazioni e, al momento sullo sfondo, lo studio Gianni Origoni Grippo per Generali.
Lo strappo fra le due società (anzi tre, contando anche la compagnia triestina) sta creando qualche perplessità sul mercato, dove si teme che i titoli possano risentire degli effetti di una lunga disputa legale. L’ipotesi, data la complessità del tema, la necessità di raccogliere anche i pareri dell’autorità di vigilanza e la radicalizzazione del confronto, è che per venire a capo del conflitto possa occorrere molto tempo. Tempo che in questa situazione critica e in piena emergenza economica nessuno vuole perdere. Si potrebbe quindi fare largo l’idea di spingere le parti a trovare un’intesa anche all’esterno del collegio arbitrale cui toccherà affrontare la vertenza. Un’ipotesi che rassicurerebbe anche i soci e gli investitori.
Ma il tintinnare – di sciabole e di moneta sonante – non pare lasciare molti spazi per una trattativa soft: il collegio legale che assiste Cattolica, come ha chiarito anche L’Adige nei giorni scorsi, ha quantificato in circa 500 milioni il risarcimento da chiedere al Banco BPM, tra gli oltre 400 milioni di differenza nella valutazione della joint venture fra il 2018 e oggi, ai quali si aggiungono penali tra i 50 e i e 100 milioni per i danni subiti. È chiaro peraltro un altro gioco dei contendenti: improntare lo scontro sull’aspetto economico (che comunque ha un’effettiva importanza in termini di bilancio) per presidiare il meglio possibile tutto il territorio del business bancassicurativo, nel quadro di un risiko ancora tutto da definire.
Intanto in Borsa operatori e analisti non se ne stanno certo a guardare: i titoli di Lungadige Cangrande sono in lento anche se non tragico declino da fine novembre, con una perdita del 10,6%. Lo stesso capita anche alle quotazioni del Banco BPM, che nello stesso periodo, nonostante il continuo saliscendi, hanno lasciato sul terreno il 6,5% (ma -26% da febbraio). Le dichiarazioni di queste settimane non fanno che aumentare l’incertezza e l’andamento ne risente, con grafici che riflettono i numeri in tracciati che sembrano un ottovolante.
Tastando il polso degli operatori di Piazza Affari, Il Sole 24 Ore conferma che il clima poco sereno non fa comodo a nessuno. Mentre si attende che le parti comincino a parlarsi (e a trattare) Equita Sim concorda che un lungo contenzioso legale possa essere negativo per entrambe le società. Resta tutto da dimostrare che il Banco BPM abbia voglia, e su quali basi, di cercare un’intesa con Cattolica per il prezzo delle quote delle joint venture Vera Vita e Vera Assicurazioni. La pensa allo stesso modo anche la società di gestione Fidentiis, che considera due ulteriori scenari: da un lato c’è la posizione sfumata delle Assicurazioni Generali, e dall’altro l’effettivo apporto del Banco alle compagnie oggi contese. Il primo punto è perché mai il Leone di Trieste Generali abbia investito in Cattolica ancor prima di far valere il proprio peso sulla gestione sulla compagnia, considerato che presto o tardi (e più presto che tardi, va precisato) dovrà rendere palese l’esercizio del proprio controllo sulla società veronese. Per quanto riguarda il Banco BPM, ci si domanda se abbia davvero dato il proprio concreto contributo all’iniziativa di bancassicurazione (in altre parole: una scarsa performance nella raccolta di “net new money”), e se ciò in fase il contenzioso non possa finire con il rafforzare la richiesta di Cattolica di alzare il prezzo del divorzio.