(di Attilio Zorzi) Tutti parlano di innovazione, digitalizzazione, transizione Green e resilienza. Termini belli, ma che nella realtà non trovano un grande riscontro. Anzi, spesso restano solo degli slogan che cadono nel vuoto. Ma a Verona è possibile investire nell’innovazione? L’economia della nostra città, nonostante il Covid, è ancora solida, con eccellenze in molti settori, con grandi imprenditori riconosciuti in tutto il mondo.
Verona però ha bisogno di una forte spinta innovativa per rimanere al passo coi tempi e con le richieste del mercato e per dare sbocco ai tanti giovani che al termine degli studi non riescono a trovare un’occupazione soddisfacente sia sotto l’aspetto salariale, che della realizzazione personale.
L’innovazione però non deve essere intesa come un termine astratto. Deve avere una sua contestualizzazione pratica e precisa, che permetta di generare nel territorio un valore aggiunto in termini economici e di occupazione. Deve significare creazione di spazi dedicati a chi ha delle idee da sviluppare, ma non ha i capitali per realizzarle.
L’innovazione a Verona potrebbe prendere la forma di un polo per la formazione specialistica post-universitaria, in collaborazione con il nostro ateneo. Dedicato anche al co-working, allo sviluppo di startup, tramite incubatori e acceleratori dedicati all’intermediazione tra nuovi progetti e fondi d’investimento nazionali ed internazionali, portatori di capitali desiderosi di essere remunerati.
Realtà come queste esistono già, anche qui vicino. In Trentino e in Alto Adige ci sono gli Innovation Park a Rovereto e Bolzano, ma sappiamo che il paragone con le province autonome sul lato finanziario è impietoso, poiché le loro disponibilità sono ben superiori alle nostre, per legge.
Tuttavia anche in Veneto, nella marca Trevigiana, è nato il campus H-Farm, un polo d’innovazione privato, che si propone di mixare imprenditoria e innovazione e di mantenere sul territorio le giovani risorse, che altrimenti troppo spesso vanno all’estero. E dovrebbe persino diventare uno dei campus innovativi più grandi d’Europa. Un progetto del genere potrebbe essere realizzato anche a Verona, poiché abbiamo a disposizione tutte le componenti necessarie per renderlo efficace, efficiente e soprattutto economicamente profittevole.
Potrebbe essere anche l’occasione per dimostrare che il Veneto può guardare anche a ovest, verso Verona, e non solo al Triangolo Venezia-Padova-Treviso, come ultimamente è sempre accaduto con le grandi opere e con le infrastrutture. Il nostro aeroporto è lì a ricordarcelo.
Noi veronesi dobbiamo valorizzare le peculiarità del nostro tessuto economico e del nostro capitale umano. Puntare sui settori tradizionali, storicamente molto forti a Verona, come la metalmeccanica, la logistica, il food and beverage, il marmo ed il mobile, ma valorizzando anche l’eccellenza che arriva dal nostro polo universitario sia dal lato medico-biotecnologico, sia da quello economico-giuridico. Gli spazi, le relazioni, il tessuto economico e persino i fondi d’investimento possono esserci. Servirebbe solo un po’ di unità d’intenti tra i vari attori, per riportare Verona al suo ruolo naturale di traino dell’economia del Nord-Est, anche e soprattutto attraverso l’innovazione ed il lavoro.
Mettere al centro le idee, i progetti e il lavoro, per dare speranza e opportunità ai nostri giovani ed un futuro migliore alla nostra città. Non è semplice, ma bisogna provare.