Un nuovo criterio per assegnare i colori alle regioni è allo studio del governo su proposta dell’Istituto Superiore di Sanità e del Comitato Tecnico Scientifico. Se l’incidenza dei contagi è superiore a 250 casi ogni 100 mila abitanti in una settimana scatta automaticamente la zona rossa.
Con questo nuovo criterio la prima regione che va di filato in zona rossa è il Veneto che di positivi in una settimana ne ha attualmente 454/100.000. Lo stesso capiterebbe ad altre regioni che fanno tanti tamponi. Quelle invece che ne fanno pochi resterebbero arancioni o gialle.
Per ora si tratta di una proposta. Per diventare operativa dev’essere inserita nel DPCM del 15 gennaio. Se venisse recepita si tratterebbe di una scelta logica che però è fondata su un dato opinabile. Non tutte le regioni fanno lo stesso numero di tamponi. Quindi si parte da un presupposto disomogeneo e quindi non paragonabile.
Il Veneto, che fino ad oggi ha fatto oltre 5 milioni e 300 mila tamponi, a un ritmo attuale di 60 mila al giorno, trova molti più positivi di quanti ne può trovare una regione che ne fa la metà, un terzo o anche meno. Seguendo questa logica la regione che ha la capacità di individuare più positivi, il che presuppone una maggior efficienza della macchina sanitaria, va in rosso, mentre quella meno efficiente magari rimane gialla o arancione. Come dire che nella regione dove non si fa neanche un tampone sono tutti sani. Ma non trovare i positivi non vuol dire che non esistano!
E infatti regioni come il Veneto, la Lombardia, l’Emilia-Romagna, dove notoriamente la sanità funziona meglio, sono sempre quelle che “presentano” il maggior numero di contagi. Invece quelle che hanno la sanità che va a rotoli, tanto che i loro abitanti di solito vengono a curarsi nei nostri ospedali, risultano con meno casi. Ma questo a Roma lo capiscono?