(di Stefano Tenedini) “La Valdastico? Vorrà dire la Pirubi! La lasci stare, è talmente morta che non torna più”. Assomiglia tanto al ponte sullo Stretto, metafora di tutte le opere che gli italiani dicono di voler realizzare ma poi per un motivo o per l’altro restano al palo. Non si può neanche più ironizzare sul Mose, che almeno da finito funziona, anche se c’è voluta una vita e le tangenti hanno fatto lievitare il costo come i pandori. E sullo spettro della A31 non si litiga più, e nemmeno ci si scontra come per la Tav: niente, solo anni di silenzio, ogni tanto una fiammella d’interesse, la riscoperta come se fosse un giacimento di acqua calda. È un miracolo che da Vicenza sia scesa a Badia Polesine, figuriamoci trascinarla da Piovene Rocchette su fino a Trento o a Rovereto. Smettetela di disturbare la grande incompiuta.
Non c’è un giornalista veneto cui a inizio di carriera, in mancanza di notizie interessanti, sia stata risparmiata la via crucis tra Vicenza e Rovigo, Padova e Trento, con qualche puntata a Venezia in Regione. Io stesso ho fatto decine di interviste e ascoltato molti solenni impegni ufficiali, opposti ad altrettanto rumore di barricate, ricopiato i dotti ragionamenti con mille distinguo: ma dopo tanti anni l’erba cresce sempre più alta su quei due mozziconi di corsie fermate sulla via per Trento come un reduce senza stampelle. Non è mai stata una guerra, perché l’idea era nata tutta in casa democristiana doc: Flaminio Piccoli a Trento, Mariano Rumor a Vicenza e Antonio Bisaglia a Rovigo: Pi-Ru-Bi, l’etichetta di un’opera che dal 1972 doveva portare voti, lavoro, veicoli e benessere. Con calma, pacatamente, tutti d’accordo.
Poi non se n’è fatto niente, e adesso oramai dormono tutti sulla collina, loro e il progetto. Perché diciamocelo, la vera ciccia della Valdastico non era risalire pigramente dal Polesine ai piedi di Asiago, ma bucare il diaframma al confine del Veneto, scendere in Vallagarina o giù di lì, attaccarsi all’Autobrennero, intercettare e deviare il traffico da e per la Germania, attraendolo con un tracciato che faceva risparmiare strada, tempo e carburante. Il sogno si infranse subito contro l’opposizione dei trentini, sempre gelosi del loro ridotto montano e preoccupati per l’inaridirsi del flusso (di pedaggi). I colpi definitivi vennero dalle inchieste sui terreni inquinati smossi dai primi bulldozer e dagli ambientalisti, che non volevano né i viadotti né i Tir. Obiezione condivisibile ma che resiste ancora, sebbene il nuovo tracciato proponesse di far sparire l’autostrada in galleria. Fermo, tutto fermo.
Allora come mai dopo una vita siamo ancora qui a parlarne? Perché il passato non passa e “ce lo chiede l’Europa”. O meglio, perché adesso le società di gestione hanno l’urgenza di fare fronte comune non “per” la Valdastico, ma contro il rischio che una volta scaduta nel 2026 la concessione, possano trovarsi ad affrontare i concorrenti europei. Da una parte la A4 Brescia-Padova, dall’altra la A22 Modena-Brennero, che sono pure imparentate tramite gli enti locali. L’incantesimo per evitare i problemi si chiama “proroga”, e la parola magica per evocarlo si chiama “investire” senza ricorrere al bando europeo. Investire, ma su cosa?
Di qui l’ipotesi (un po’ campata in aria, ma vediamo tutti i giorni che la politica è l’arte del possibile) di tirar fuori dalla naftalina il completamento della “Pi” di Piccoli e arrivare una benedetta volta a sbarcare in Trentino. Tanto più che la Provincia Autonomia di Trento e la Regione Veneto, presenti nelle rispettive compagini societarie, potrebbero cercare una via d’uscita che soddisfi tutti. Un bel dietrofront sotto il Bondone, dove fino a pochi anni fa le parole più pronunciate erano “autonomia” e “no”. I potenziali partner si sono fatti dispetti a raffica, come l’ipotesi del Veneto di cominciare i lavori e portare l’autostrada su fino alla frontiera (…) per poi attaccarsi a una statale, o la decisione trentina di opporsi allo sbocco a Besenello. Ma oggi la scadenza della concessione potrebbe appianare i dissidi, tanto che c’è già pronta una nuova variante, con inserimento a sud di Rovereto.
Ora, a voi pare una cosa normale che si provi a riportare in vita come Frankenstein un’idea morta da cinquant’anni? E che ci sia così tanta fretta da poter magicamente superare tutti gli intoppi burocratici e progettuali, le opposizioni ambientali e il vaglio delle istituzioni per far partire i picconi nel giro di un paio d’anni? Non è chiaro se i lavori debbano finire entro il 2026 o se per permettere la proroga della concessione basta che comincino. Ma forse è il caso di pensarci bene, prima di trovarsi a impartire ancora un’estrema unzione a questa infrastruttura. Ad esempio un’analisi costi-benefici aggiornata (detta da Toninelli fa ridere, lo so, ma è una cosa seria), sostenibilità ambientale, fabbisogno autentico e aggiornato, le eventuali alternative stradali e ferroviarie (in Valsugana saremmo messi anche peggio).
Per finire vorrei recapitare ai politici il pensiero (credo) di molti veneti e trentini: la fate o non la fate? Ma pensateci bene: fate progetti decenti con gallerie che poi tra qualche anno non caschino in testa a nessuno; non metteteci due generazioni; non fate casini; ed evitate di mangiarci su troppo. Ma soprattutto decidetevi, per carità: e poi non dite che la colpa è nostra se ci saranno assembramenti. Quelli ci sono già e li chiamiamo code. A pedaggio.