(di Stefano Tenedini) “Anche senza guardare i numeri, di pancia, direi che già un anno fa eravamo indietro perfino rispetto alla crisi iniziata nel 2008, e non avevamo recuperato. Di conseguenza condivido la lettura della situazione che ne fa il Centro Studi di Confindustria (la pubblichiamo qui su L’Adige): faremo fatica a ripartire dopo il Covid. Ma anche la crisi potrebbe avere effetti positivi, come “sgonfiare” alcuni settori e servizi che non davano un effettivo valore aggiunto al mercato e non generavano né un ritorno né un indotto. Posso dirlo in maniera più diretta, così ci capiamo bene: non guardiamo solo ai numeri ma anche al contenuto. Chiunque lavori si è reso conto che la qualità non è sempre garantita e c’è tanta fuffa. Se nuove, ulteriori, sicuramente drammatiche difficoltà rendessero il mercato più selettivo, ci sarà spazio per quelli davvero bravi ed efficaci. Per attività utili”.

Vorrei che i giovani fossero molto, molto arrabbiati, e decidessero di intervenire per cambiare questa realtà

Paolo Errico, imprenditore veronese (è Ceo di Maxfone) e presidente delle PMI del Veneto per Confindustria, non le manda a dire. La situazione è grave e non è solo un problema di economia e finanza, ma di sistema: e riguarda, sia come responsabilità che come effetti, il mondo delle imprese, i servizi, i professionisti, la politica e l’amministrazione. Insomma, è un problema di tutti, quindi di ciascuno di noi. “Lo dico con una battuta: la qualità non vive nei power point in cui la annunciamo e la proclamiamo, ma dev’essere reale. La selezione non si deve fare sul più forte, ma con indicatori di performance che dimostrino chi porta davvero valore”, sottolinea. “Questo significa che attendersi il ritorno alla normalità è una pericolosa illusione. Perché la normalità che conoscevamo non tornerà, non esisterà più”.

L’imprenditore (ma vale per tutti, dagli albergatori ai commercianti e ai manager) sta sulle montagne russe: a volte è in alto e riesce a vedere lontano, poi precipita verso terra e non capisce che le regole del gioco sono cambiate. Le trasformazioni in cui magari speravamo ma che continuavamo a rimandare sono arrivate come uno schiaffo, mettendo in difficoltà chi si era abituato a una vita tranquilla. “Un esempio per tutti: il franchising, modello che è andato in crisi prima per l’e-commerce e adesso anche perché devi pagare l’affitto mentre i clienti non entrano più in negozio. Devi pensare a ricollocare le persone: ma dove vanno, dove andremo tutti? Quando finirà il blocco della disoccupazione – aggiunge – dovremo definire nuove policy del lavoro, salvaguardare il tessuto sociale, fare formazione”. Punto dolente. Il rapporto istruzione-lavoro va ricostruito da zero: è ridicolo che chi sta in cassa integrazione non possa fare formazione, quando sarebbe proprio il momento migliore.

Paolo Errico è lì a metà strada fra sconsolato e combattivo: considera esempi come questi indicativi di quante occasioni stiamo buttando via, e lancia una raffica di “ri-“: riprogettare, ricostruire, rilanciare, rigenerare, ripartire. “Dovremmo preoccuparci di tutti gli handicap strutturali di cui già soffriamo in economia, ma nonostante l’ottimismo la sensazione è che non riusciamo a farlo anche a causa dell’inadeguatezza della classe non solo politica, ma dirigente del Paese” considera. “Siamo ridotti a sperare che il sistema reagisca perché sta prendendo paura. Ma non basta: ci stiamo crogiolando nel concetto di resilienza, ma non è la strada giusta perché tornare a prima non basta, e poi non si può: è l’anticamera della rassegnazione. C’è in giro tanta rabbia, che dobbiamo trasformare in sviluppo, in progetti. Lo sto dicendo a chiunque, anche in Confindustria: smettiamola di fare gli allenatori della nazionale e diventiamo più positivi e proattivi, flessibili, portiamo idee per costruire e non distruggere. E comunque”, prosegue, “mai smettere di martellare. Il governo non ascolta? Andiamo avanti lo stesso, perché anche l’impresa ha il dovere di interpretare la società: a Verona ha presentato proposte, idee per crescere, una visione di sviluppo”.

Nella stessa Confindustria il Nord presenta progetti e il Sud chiede aiuti perché prima deve sopravvivere

Al momento però la pandemia sta fagocitando tutto lo spazio di dibattito e lasciando sullo sfondo sia gli imprenditori che (e sull’altro versante) il sindacato. E in questo deserto tutto il Veneto sta perdendo colpi. Riscatto e riconquista (per stare alle parole d’ordine in “ri-“)  vengono interpretate meglio dalla vicina Emilia. Noi siamo (forse) bravi con le emergenze ma non abbiamo ancora deciso che ruolo vogliamo, chi vogliamo essere: non domani, ma nel futuro. Ora speriamo arrivino le risorse europee del Recovery Fund, ma poi torneremo all’impietoso confronto tra due Italie. Nella stessa Confindustria (con i fondi Horizon per la ricerca) il Nord presenta progetti e il Sud chiede aiuti perché prima deve sopravvivere.

“Abbiamo competenze, innovazione, design, risorse che non sfruttiamo. È anche perché tolleriamo che nel Paese ci sia una linea trasversale, e non per forza geografica, che lavora mentre l’altra vive alle spalle della prima. Non voglio puntare il dito”, dice Errico, “ma le inefficienze sono sotto gli occhi di chiunque voglia vederle. Prendiamo le infrastrutture di rete. Adesso che il Covid ci ha spediti a lavorare da casa, lo abbiamo capito o no che cosa significa essere senza? Metà del territorio non è coperto dalla banda larga, ma senza un contratto di servizio sono gli operatori a decidere di andare solo dove c’è business. Così a Bosco Chiesanuova il 4G non arriva e lo smart working non si può fare”.

La resilienza non è un valore se ci riporta alla “fuffa” pre-Covid

“Fino a quando non sapremo decidere cos’è strategico e cos’è “aiutino”, non ne verremo fuori. Vorrei che i giovani fossero molto, molto arrabbiati, e decidessero di intervenire per cambiare questa realtà. Ah, per me”, sbotta, “possiamo anche decidere di diventare il bel paese dei balocchi del turismo, se questa fosse la visione maggioritaria. Solo che prima di rilassarsi in spiaggia bisogna lavorare duro, rifare strutture e infrastrutture, richiamare la clientela, riorganizzare i servizi… Ma qui si va troppo lontano, avendo una politica che non solo non fa, ma che non sa fare. Sento dire che dopo il Covid ci vorrebbe una Norimberga italiana. Ma poi dovremmo processare l’intero Paese, tutti noi dovremmo metterci davanti allo specchio. Lo faremo?”