Anche in tempo di pandemia in Italia l’emergenza smog non si arresta e si cronicizza sempre di più. A Verona sono 73 i giorni in cui la centralina di Borgo Milano ha superato il limite di PM10. È quanto emerge in sintesi dal report Mal’aria di Legambiente che traccia un doppio bilancio sulla qualità dell’aria nei capoluoghi di provincia nel 2020, stilando sia la classifica delle città fuorilegge per avere superato i limiti giornalieri previsti per le polveri sottili (Pm10) sia la graduatoria delle città che hanno superato il valore medio annuale per le polveri sottili (Pm10) suggerito dalle Linee guida dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), che stabilisce in 20 microgrammi per metro cubo (µg/mc) la media annuale per il Pm10 da non superare contro quella di 40 µg/mc della legislazione europea.
E il quadro complessivo che emerge è preoccupante: nel 2020 nella Penisola su 96 capoluoghi di provincia analizzati 35 hanno superato almeno con una centralina il limite previsto per le polveri sottili (Pm10), ossia la soglia dei 35 giorni nell’anno solare con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo. A Torino spetta la maglia nera con 98 giorni di sforamenti registrati nella centralina Grassi, seguita da Venezia (via Tagliamento) con 88, Padova (Arcella) 84, Rovigo (Largo Martiri) 83 e Treviso (via Lancieri) 80.
L’altro dato che emerge dal rapporto è il poco rassicurante confronto con i parametri dettati dall’OMS, di gran lunga più stringenti rispetto a quelli della legislazione europea, e che hanno come target la salute delle persone. Nel 2020 sono 60 le città italiane (il 62% del campione analizzato) che hanno fatto registrare una media annuale superiore ai 20 microgrammi/metrocubo (µg/mc) di polveri sottili rispetto a quanto indicato dall’OMS. A guidare la classifica è sempre Torino con 35 microgrammi/mc come media annuale, a Verona la media è di 32 µg/mc.
Per Legambiente i dati di Mal’aria ci ricordano che il 2020, oltre ad essere stato segnato dalla pandemia ancora in corso, è stato anche contrassegnato dall’emergenza smog e dalla mancanza di misure specifiche per uscire dalla morsa dell’inquinamento. Lo dimostra la mancanza di ambizione dei Piani nazionali e regionali e degli Accordi di programma che negli ultimi anni si sono succeduti ma che, nella realtà dei fatti, sono stati puntualmente elusi e aggirati localmente pur di non dover prendere decisioni impopolari insieme al ricorso sistematico della deroga (come nel caso del blocco degli Euro4 nelle città che sarebbe dovuto entrare in vigore dal primo ottobre 2020 e che è stato prima posticipato al gennaio 2021 e poi all’aprile successivo). E lo dimostrano anche le due procedure di infrazione comminate all’Italia per il mancato rispetto dei limiti normativi previsti della Direttiva europea per il Pm10 e gli ossidi di azoto, a cui si è aggiunta lo scorso novembre una nuova lettera di costituzione in mora da parte della Commissione europea in riferimento alle eccessive concentrazioni di particolato fine (Pm2,5) a cui ora l’Italia dovrà rispondere, essendo state giudicate “non sufficienti” le misure adottate dal nostro Paese per ridurre nel più breve tempo possibile tali criticità.
“L’inquinamento atmosferico – dichiara Chiara Martinelli presidente di Legambiente Verona – è un problema complesso che dipende da molteplici fattori come il traffico, il riscaldamento domestico, l’agricoltura e l’industria in primis. Nelle città il traffico svolge un ruolo primario per le emissioni. Nell’agglomerato urbano veronese, i dati ARPAV (sistema INEMAR) ci dicono che le fonti principali derivano da traffico (42%) e agricoltura (22%). La pandemia in corso non ci deve far abbassare la guardia sul tema dell’inquinamento atmosferico con continue deroghe ai piani.”
A Verona è in fase di elaborazione il PUMS (piano urbano della mobilità sostenibile) che secondo Legambiente mette in atto misure ancora troppo timide soprattutto per quello che riguarda il potenziamento del trasporto pubblico locale, che si basa principalmente sul progetto filobus. Al 2030 il PUMS prevede di modificare le abitudini dei cittadini e dei pendolari portandoli dall’utilizzo del mezzo privato alla mobilità sostenibile. Ma gli orizzonti di cambiamento si contano in pochi punti percentuale, per esempio solo il 2% di utenti in più useranno il trasporto pubblico rispetto ad adesso.
Ogni anno nella Penisola, stando ai dati dell’EEA, sono oltre 50mila le morti premature dovute all’esposizione eccessiva ad inquinanti atmosferici come le polveri sottili (in particolare il Pm2,5), gli ossidi di azoto (in particolare l’NO2) e l’ozono troposferico (O3). Da un punto di vista economico, parliamo di diverse decine di miliardi all’anno (stimate tra i 47 e i 142 miliardi di euro/anno) tra spese sanitarie e giornate di lavoro perse. Infatti, le morti premature sono solo la punta dell’iceberg del problema sanitario connesso con l’inquinamento atmosferico.