(di Bulldog) Dalla “fine” di Cattolica Assicurazioni possiamo uscire in due modi: precipitare nel provincialismo più becero oppure aprire l’economia e la società scaligera ad una dimensione più vasta. La scelta sta a noi, esclusivamente a noi. Tempo cento giorni e la Cattolica diventerà una società per azioni a tutti gli effetti, scomparirà la distinzione fra soci della cooperativa ed azionisti, cesserà la clausola “ad escludendum” per i non praticanti la religione cattolica, e si arriverà ad un nuovo organo di governo dove si deciderà in base a capitale rappresentato e competenza. Rispetto alle osservazioni dell’Ivass – condotta opaca del cda, conflitti d’interesse ecce cc – siamo lontani anni luce. Avremo un presidente che rappresenterà i due maggiori azionisti che sono le Assicurazioni Generali (il top per chiunque abbia frequentato anche soltanto per poco e marginalmente il mondo delle assicurazioni) e l’investitore statunitense Warren Buffet. Il maggior azionista guarderà alle sinergie di medio periodo e ad un investimento che si valorizzi nel tempo; il secondo vorrà vedere grassi dividendi quanto prima e, certo, rientrare in fretta degli oltre 47 milioni€ di perdita ottenuti dal suo investimento nella compagnia scaligera (entrò il 6 ottobre 2017 a 7,35€/azione).
Un combinato disposto che potrebbe riportare il sorriso anche ai 30mila bastonati azionisti di Cattolica (che vedono il loro patrimonio eroso da troppo tempo) che d’ora in poi si uniranno ai desiderata dei 200mila azionisti delle Generali, di cui ben 195mila cassettisti (sopra il grafico della composizione attuale della compagnia triestina) ovvero di risparmiatori che si sono affidati al Leone marciano per garantirsi una serena vecchiaia. Cosa che Generali garantisce dal lontano 1831.
La cosa più assurda, arrivati a questo punto non per disegno cinico delle Generali ma per scarsa visione veronese, sarebbe scaricare sui triestini la “colpa” della scomparsa di un asset della città. Tranquilli. L’asset si è perso da solo, e non ha avuto certo bisogno di aiuto. Già la città si è divisa fra Minali e Bedoni, fra coop e spa, fra piccoli azionisti e truppe cammellate di Bedoni, Coldiretti, Curia, vari ed eventuali…creare adesso un fronte ostile mettendo insieme politica, lobby e interessi di bottega sarebbe un passo in più verso non dico il baratro, ma l’inconsistenza certamente sì. La chiamata alle armi andava fatta prima e, soprattutto, mettendo mano al portafoglio: c’erano in città i 300 milioni che Generali ha messo sul piatto qualche mese fa? C’era qualcuno disposto ad affidarli ad un management già allora in discussione? No. Verona ha “votato” per le Generali non dando fiducia alla gestione della Compagnia scaligera. Punto. Esattamente come accade per VeronaFiere: c’è qualcuno oggi disposto a metterci dei soldi? No. Chiedersi del perché non vi siano investitori veronesi in lizza per quel capitale sarebbe già una buona domanda di partenza.
Davanti all’evoluzione della vicenda Cattolica, poteva fare qualcosa la politica veronese? Fossimo stati ai tempi della generazione della ricostruzione ci sarebbe stato certamente un politico democristiano in grado di mediare fra Cattolica e Banca Popolare; fra Cattolica e Curia; fra Cattolica e Cassa di Risparmio. Un politico in grado anche di andare a scovare i capitali nei materassi dove erano nascosti. Ma oggi quel politico non c’è. Non c’è sufficiente moral suasion. Di gente che riesca a far cambiare idea ai presidenti delle tre casseforti scaligere non ce n’è. Non ci sono più nemmeno gli industriali d’area da far intervenire con ricchi appalti pubblici a compensazione.
Di conseguenza abbiamo una chiamata alle armi senza avere le armi. E forse è paradossalmente un bene. Davanti ad un mercato che non cresce perché chiuso, che non riesce a superare il proprio limite, forse è meglio accettare di vedere plasticamente finire una stagione economica e la generazione di manager che la rappresenta. Accettare di veder scomparire una serie di interlocutori e di scommettere su una nuova generazione che magari oggi non si vede, ma soltanto perché schiacciata dalla precedente. E’ già successo nell’economia veronese: i primi industriali veronesi di fine Ottocento sono stati sostituiti dalla generazione nata dalla seconda guerra mondiale. Arriveranno altri imprenditori e manager. E avranno campo libero. Almeno, lo speriamo.