(di Bernardo Pasquali). Le parole di Mario Draghi, durante il discorso di insediamento al Senato, sono state inequivocabili: “Bisogna prestare particolare attenzione agli Istituti Tecnici!”. Non lo fa solo a parole ma, aggiunge: “Il programma nazionale di ripresa e resilienza assegna 1,5 miliardi agli Istituti Tecnici, 20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole rischiamo di sprecare quelle risorse”. Questo forte appello al Paese ci fa tornare indietro di trent’anni, agli anni Novanta, quando l’allora Ministro Moratti, diede un taglio netto alla formazione professionale e tecnica, rilanciando la formazione generalista e umanistica, con la “liceizzazione” dei percorsi di studi della Secondaria Superiore. Si torna quindi a dare più peso ai quadri intermedi della società, quelle figure professionali a cui si è tolto drasticamente valore, geometri, ragionieri, meccanici, elettricisti, elettrotecnici, chimici, periti agrari, ecc… La colonna portante dell’economia italiana dagli anni Sessanta in poi.
Siamo entrati in uno dei più prestigiosi Istituti Tecnici veronesi e abbiamo sentito una voce autorevole del corpo insegnanti di Verona: la professoressa Silvia Recchia, nella foto. Da 21 anni in servizio, nell’istruzione tecnica e professionale veronese, da 10 anni insegnante di Chimica presso l’Istituto Tecnico Ferraris, da otto anni, Funzione Strumentale per l’Orientamento dell’IIS Ferraris – Fermi e, quest’anno, Coordinatrice al Ferraris. Un ruolo determinante, il suo, per tutte le attività di orientamento in ingresso dei ragazzi delle scuole medie inferiori.
Cosa ne pensa delle parole di Draghi?
«Sono rimasta colpita molto positivamente, con una buona dose di speranza. Di competenze scientifiche, infatti, se ne parla da molti anni ormai. Licei scientifici e gli istituti tecnici tecnologici sono i due ordini di scuole che portano con più efficacia allo sviluppo di queste competenze. Tuttavia, gli istituti tecnici hanno un valore aggiunto: la didattica laboratoriale. Nei laboratori degli istituti tecnici è fondamentale la compresenza sia dei docenti teorici sia dei docenti tecnico pratici che lavorano all’unisono con il fine comune di sviluppare competenze spendibili nel mondo del lavoro e non solo».
Se potesse gestire lei gli 1,5 miliardi previsti, da dove partirebbe?
«Non stravolgerei l’impianto degli attuali istituti tecnici, dopo l’esperienza negativa dell’ultima riforma dei professionali, non me lo auguro proprio. Gli istituti tecnici sono scuole che funzionano: il ruolo dei laboratori è centrale, ma ben bilanciato con le discipline teoriche sia di indirizzo tecnologico-scientifico, sia umanistiche. Punterei piuttosto sull’aggiornamento dei contenuti e sul rendere istituzionali le nuove metodologie, come indicato dal Presidente del Consiglio Draghi. Per quanto riguarda il ruolo delle materie umanistiche, auspicherei un maggior travaso delle competenze linguistiche nelle discipline tecniche. Penso che Draghi, quando cita “l’armonizzazione delle competenze scientifiche con le aree umanistiche”, un po’ si riferisca anche a questo: c’è bisogno di maggiore sinergia tra discipline scientifiche e umanistiche.
Nel ripensare ai contenuti e al modo di affrontarli, introdurrei in tutti gli indirizzi saperi trasversali in ambito ecologico di controllo e salvaguardia dell’ambiente. Ad esempio, nell’indirizzo Chimica dei materiali si potrebbe introdurre un modulo sulla Green Chemistry, se ne parla tanto da anni ma ancora nelle linee guida ministeriali non è esplicitamente indicato. Cosa aspettiamo? ».
C’è stata, secondo lei, un eccesso di “liceizzazione” della scuola superiore italiana?
«C’è stata, negli anni 80 e 90, la stagione delle sperimentazioni negli istituti tecnici che tendevano a “licealizzarsi” almeno nel nome e nei curricoli, per acquisire un po’ più di prestigio: videro così la luce i Licei tecnologici, poi soppressi dal Ministro Fioroni nel febbraio 2007. Il successore, ministro Gelmini, nel giugno 2009 improvvisamente reintrodusse il liceo tecnologico come opzione del liceo scientifico».
Esiste però l’idea sbagliata che i Licei siano più performanti degli Istituti tecnici, vero?
«Ci sono molti falsi miti e molti condizionamenti sociali, a mio avviso. I licei sono ottime scuole: al liceo si impara soprattutto “a imparare”, si sviluppano competenze di ragionamento e si stimola l’autonomia nello studio. Il fine dell’istruzione liceale è la prosecuzione degli studi, ad esempio, all’università. I licei quindi, non sono più performanti dei tecnici, in quanto perseguono finalità diverse. Il problema sta nel fatto che molti studenti scelgono il liceo perchè è sostanzialmente una “non scelta”, una sorta di limbo quinquennale in cui si spera di prendere una decisione sul proprio futuro. Purtroppo dopo il liceo non tutti i ragazzi scelgono la prosecuzione degli studi e il settore lavorativo in cui si riversano è troppo spesso non coerente con il proprio percorso di studi e saturo. Al Ferraris abbiamo un motto: “il tecnico è la scuola che vale doppio”. Questo è vero, sia perchè questo ordine di scuola offre la possibilità di proseguire gli studi con successo o di inserirsi nel mondo del lavoro in settori coerenti con la propria formazione e con profili di buon livello; sia per la duplice valenza dei laboratori in cui si sviluppano conoscenze teoriche e pratiche. Dalle indagini Eduscopio degli ultimi anni si evince che i licei fanno la parte del leone nella prosecuzione con successo degli studi, subito dopo ci sono i tecnici che, soprattutto nella nostra Provincia, invece si attestano il primato nell’indicatore “occupabilità”».
Quanto è valsa, sino ad oggi, la pratica degli Stages Formativi nelle aziende?
«Gli stages formativi all’interno delle aziende sono da molti anni il punto di forza degli istituti tecnici e professionali. Questo tipo di attività, da qualche anno inserite in un progetto più ampio di Percorsi per le Competenze Trasversali e Orientamento (ex Alternanza Scuola-Lavoro), permette ai ragazzi di vivere esperienze lavorative reali, di mettere in gioco le proprie capacità relazionali e professionali, di capire se un determinato ambiente di lavoro soddisfa o meno le proprie aspettative. Nel Nordest viviamo una situazione invidiabile in cui il tessuto di relazioni con le aziende è molto fitto. Nella scuola in cui lavoro, abbiamo convenzioni con circa 500 aziende e ogni studente svolge la propria esperienza singolarmente, ricevendo la massima attenzione da parte dei tutor scolatici e aziendali. Questa realtà dovrebbe trasferirsi al resto del Paese».
La preparazione degli insegnanti sarà sufficiente a garantire questa transizione?
«L’emergenza sanitaria ha spinto molti docenti, a sviluppare ulteriormente le proprie competenze tecnologiche, soprattutto digitali. Bisogna però tener presente che le tecnologie digitali sono solo uno strumento: il Presidente Draghi parla infatti di “innesti di nuove materie” e di “nuove metodologie”. Non basta riproporre la solita lezione frontale in video conferenza, è necessario un cambio di paradigma che porti a una didattica diversa. Una didattica che metta in posizione centrale lo studente e il suo apprendimento e in posizione più defilata il docente. Di questo se ne parla da anni, non è una novità. Tuttavia, parlo da docente ovviamente, un cambio paradigmatico non è semplice: ricadiamo sempre sul fatto che le richieste fatte al corpo docente sono sempre maggiori, per contro, il riconoscimento economico e soprattutto sociale per questo sforzo è sempre troppo esiguo. Serve un investimento serio per la formazione e l’aggiornamento dei docenti, ma serve anche una classe politica che finalmente riconosca il ruolo centrale della scuola e il ruolo chiave degli insegnanti, anche a livello sociale»