(di Nicola Fiorini* e Giorgio Pasetto** ) La stampa locale ha dato ampio risalto alla riunione della Commissione Bilancio del Comune di Verona svoltasi l’11 febbraio scorso, presenti i vertici di Camera di Commercio, Provincia di Verona e Provincia Autonoma di Trento. L’oggetto della riunione era la situazione dell’Aeroporto Catullo e che cosa intendano fare i soci pubblici. L’indirizzo che sembra emergere suscita forti perplessità ed è opportuno che la politica e la società civile ne discutano seriamente prima che sia troppo tardi.
Lo stato dell’arte è noto ma per comodità di chi legge vale la pena riassumerlo. Da alcuni anni la società di gestione (Aeroporto Valerio Catullo SpA) ha due soci di riferimento. Il primo si chiama Aerogest Srl e possiede circa il 47%. Il secondo si chiama Save SpA e possiede oltre il 41%. Save è un operatore privato che gestisce con successo gli aeroporti di Venezia e Treviso. Aerogest è una società finanziaria in cui quattro enti pubblici hanno raggruppato le loro partecipazioni nel Catullo per mantenere un peso nel governo dello stesso. Si tratta di tre enti veronesi (la Camera di Commercio, la Provincia e il Comune di Verona) e della Provincia di Trento. Aerogest è quindi formalmente un soggetto privato ma nella sostanza dev’essere considerata una società pubblica, perché gestisce denaro pubblico.
Tra Aerogest e Save vige un accordo (il patto parasociale), in base al quale la seconda, pur pesando meno in termini di capitale, esprime l’amministratore delegato e quindi in sostanza gestisce l’aeroporto. Questo accordo, da tempo scaduto, è stato prorogato più volte per brevi periodi, in attesa che i soci di Aerogest risolvano i loro problemi che, come vedremo, sono molteplici. Per inciso, il patto parasociale non è un documento pubblico e ciò che si conosce sui suoi contenuti è solo quanto apparso in questi anni sulla stampa locale. Troviamo assai discutibile che una società pubblica stipuli dei patti parasociali che per loro natura rimangono riservati e che quindi si sottraggono al pubblico scrutinio. Come minimo, è necessario che se ne preveda espressamente la pubblicità. Chiediamo pertanto all’amministratore unico di Aerogest di rendere pubblico il patto.
Aerogest è una società a fine corsa. Lo è perché una legge dello Stato prevede la liquidazione per le società pubbliche senza dipendenti. Ma lo è soprattutto perché non ha le risorse finanziarie richieste dalle circostanze. Il Catullo è in crisi a causa della pandemia e necessita con urgenza di un aumento di capitale. Certo i soci pubblici potrebbero ricapitalizzare Aerogest e darle la possibilità di sottoscrivere l’aumento di capitale del Catullo, conservando quindi la maggioranza relativa. Ma questi soci non possono o non vogliono farlo, come confermato ufficialmente nell’audizione della Commissione bilancio. A questo punto l’aumento di capitale verrebbe sottoscritto pressoché integralmente da Save, che così conseguirebbe l’obiettivo da sempre dichiarato di diventare il socio di maggioranza e dominus dell’aeroporto di Verona. In altri termini, siamo alla vigilia della definitiva e completa privatizzazione del Catullo.
Si potrebbe discutere a lungo sulle modalità con cui si è arrivati alla privatizzazione. Perché non di scelta si è trattato, ma di una sorta di esito involontario, al ribasso. La storia dell’aeroporto è costellata da aumenti di capitale che uno o più soci pubblici non è stato in grado di seguire, a cominciare dal Comune di Verona all’inizio degli anni ’90. E ogni volta ci è stato detto che quel determinato aumento era l’ultimo e che la maggioranza agli enti pubblici era imprescindibile per garantire lo sviluppo di un’infrastruttura strategica per il territorio. Sono sempre state delle panzane. Alla privatizzazione si doveva arrivare per scelta, massimizzandone i benefici. Nel 2009, uno dei firmatari di questo articolo scriveva: “Qual è l’interesse di Verona? Che l’aeroporto sia sempre più efficiente e funzionale alle nostre esigenze economiche e sociali. Per far questo, bisogna investire. Quindi, largo a chi vuole farlo. Un aeroporto non è una struttura delocalizzabile, chi se lo compra deve avere successo qui. Il fatto che gli enti veronesi abbiano il controllo della società che possiede lo scalo è del tutto irrilevante ai fini del benessere della collettività locale, anzi può diventare una palla al piede se questi enti non hanno risorse sufficienti da investire”. Non è questione di avere doti profetiche, basta un minimo di onestà intellettuale. Da quando l’Autostrada Serenissima è privata qualcuno si è accorto della differenza? Si viaggia peggio, ci sono più incidenti? Eppure anche in qual caso ci spiegavano che “il bene comune” imponeva la maggioranza pubblica.
Ora, per l’ultima volta, c’è la possibilità di limitare i danni. È del tutto evidente che il compito dei soci di Aerogest non è quello di stendere un tappeto rosso davanti a Save. L’interesse pubblico esige che il 47% del Catullo venga venduto al miglior offerente, mediante una procedura d’asta. Meglio ancora se fosse possibile associare altri piccoli soci in modo da mettere in vendita la maggioranza assoluta della società di gestione. Sarà Save il miglior offerente? Non c’è problema. Ma è un dovere morale e giuridico valorizzare al massimo il patrimonio dell’ente pubblico, a maggior ragione ora che la privatizzazione è già nei fatti.
Invece non sarà così, perché la storia non insegna niente. L’intenzione dei soci pubblici è quello di andare allegramente in minoranza e non incassare un euro, perché rimanendo in società potranno “avere un controllo sullo sviluppo dell’aeroporto e garanzie sugli investimenti da effettuare”. Ma come? Non siete riusciti a farlo quando eravate soci di maggioranza relativa e dovreste invece farlo in futuro quanto non conterete un bel niente? E chi risponderà del fatto che una partecipazione di minoranza vale notevolmente meno di una di maggioranza? A quando il prossimo aumento di capitale che vi renderà ancora più irrilevanti?
Le uniche garanzie che i soci pubblici riusciranno ad avere sarà quella di qualche presenza ben remunerata all’interno degli organi del Catullo. Questo è il vero “bene comune”. Ed è particolarmente triste vedere gli imprenditori veronesi, tramite la “loro” Camera di Commercio, comportarsi né più e né meno come i politici che non cessano di criticare.
(* Presidente dell’Istituto Adam Smith – Verona; ** Presidente di Area Liberal)