(di Stefano Tenedini) La verità la sappiamo, però non vogliamo pensarci: con la partita del Recovery plan ci stiamo giocando non una finale di coppa, ma la retrocessione in “serie Boh” per un periodo lunghissimo, condannando le nuove generazioni a un purgatorio del quale giustamente ci incolperanno, ricordandoci nelle loro bestemmie. E il sonno dell’Italia non è che interessi solo noi: facciamo dormire preoccupati anche i Paesi europei che stanno un po’ meglio. Quest’anno poi abbiamo anche la presidenza del G20: ma che gli raccontiamo, fidatevi? Che immagine diamo al mondo, alla comunità globale degli affari?

Una possibilità di redenzione, diciamo così, ce l’abbiamo. Fare vedere che quando si tratta di innovazione qualche carta da giocare ci è rimasta. Solo che non può passare per Arcuri o per gli stati generali della fuffa di Conte né per le quattro paginette in croce dei piani senza sostegni. Qui guardiamo con una ragionevole speranza che esca qualcosa di realistico e di efficace dai lavori del B20, il think tank del G20 ma con la “B” di business. Una lunghissima sessione che si è appena aperta e proseguirà fino a luglio con incontri ovviamente via web dalla quale dovrebbero uscire alcune raccomandazioni ai governi delle prime 20 economie del mondo. L’organizzazione è stata affidata a Confindustria, che ha raccolto un pacchetto di imprenditori, professionisti, manager di grandi gruppi e (poche) piccole imprese e start up con l’obiettivo di provare a disegnare un futuro di ripresa per il dopo pandemia.

La carne al fuoco è tantissima. Le raccomandazioni di apertura sembrano il libro dei sogni (magari!): accelerare la diffusione di infrastrutture digitali, pari condizioni di concorrenza, più sicurezza delle aziende nel cyber-spazio per proteggere investimenti e capitale umano, favorire i progressi tecnologici con investimenti mirati, superare i divari nelle competenze digitali. Rischiamo che sia solo uno show di buone intenzioni? “No, non necessariamente. I temi centrali sono autentici pilastri per lo sviluppo del digitale, e ne discuteranno centinaia di esperti di tutto il mondo. La novità interessante per noi è che c’è anche una quarantina di italiani”, spiega Paolo Errico, ceo di Maxfone e leader delle Pmi venete di Confindustria.

Sono presenti naturalmente molti grandi gruppi nazionali e poche piccole aziende. Per il Triveneto ci sono solo io, ma sarò affiancato dal collega della Lombardia Alvise Biffi e dal presidente di Confindustria Piemonte Marco Gay. Dovremo trattare l’innovazione digitale come un’esigenza concreta, che parta dai macro temi ma resti legato a terra e tenga ben presente la realtà in cui operiamo e il modello di crescita e di competizione. Di buono c’è che i partecipanti italiani sono stati scelti per le capacità: siamo il gruppo più numeroso, ma non è un premio alla presidenza del G20 quanto un riconoscimento alle competenze”.

Uno degli argomenti più spinosi, quando si mettono a confronto le grandi potenze, è fare in modo che i principali operatori del “sistema digitale” e i loro Paesi non facciamo un solo boccone degli altri. Soprattutto se tra gli “altri” abbiamo più o meno anche tutta l’Europa. “Siano ancora davvero in pochi a occuparci di Big data, della loro accessibilità, da chi – e come – vengono gestiti. Per questo”, aggiunge Errico, “ne parlo il più possibile in Italia e in Europa, dove si punta a mettere in piedi un sistema digitale che supporti il manifatturiero, il che è necessario ma non è il solo obiettivo, oppure che tenti di bloccare la concorrenza. Invece bisogna pensare a più dimensioni, se non si vuole che l’Europa perda posizioni”.

Il punto chiave è proprio questo. Abbiamo creato il regolamento Gdpr che protegge i dati di persone e aziende, e questo è bene, ma abbiamo dei limiti tecnici insuperabili quando i nostri concorrenti sono i grandi gruppi multinazionali che “entrano” dove vogliono (detta così per semplicità) perché gli algoritmi che rendono profittevole la rete sono i loro. Cioè potrebbero impedirci in qualsiasi momento di accedere e utilizzare i Big data legati anche ai comportamenti delle persone, la vera ricchezza del mercato. “C’è una miniera d’oro, ed è la nostra, di cittadini europei, che non possiamo usare perché non ci sono gli strumenti. E se una piccola azienda come Maxfone, con tutti i suoi limiti può utilizzare questi macro dati, figuriamoci cosa possono fare Facebook, Amazon, Apple, Google o anche AliBaba”, è la riflessione di Paolo Errico. “Ma in Europa questa consapevolezza non c’è ancora”.

Per fare un esempio che da italiani conosciamo bene, noi abbiamo i treni, ma “loro” hanno i binari. Dopo la “net neutrality” oggi ci vorrebbe anche una battaglia per avere il diritto di un accesso equilibrato ai dati, per poterci lavorare. Paradossalmente l’Europa è arrivata a proteggere le persone ma ha lasciato scoperte le aziende. La possibile soluzione potrebbe essere un progetto (privato) per la creazione di un cloud europeo, con i data provider che rendano disponibili i Big data consentendo alle aziende di analizzarli e lavorarci. “Il B20 è la nostra opportunità di dare un contributo al sistema Italia e all’Europa: diamoci da fare o continueremo a dipendere dai grandi che possono chiuderci i rubinetti. Non abbiamo mai avuto una platea così globale, è il momento di farci sentire al tavolo che conta”, conclude.

Le capacità innovative la comunità industriale ha dimostrato di averle, quelle progettuali è da vedere, anche perché dipendono in parte dagli indirizzi di politica economica pubblica. Se, sottolinea Bonomi, “occorre puntare sulle forze di mercato motrici dello sviluppo”, c’è la questione di come investire al meglio i fondi pubblici, vedi i famosi 209 miliardi della UE. E qui, al di là della fiducia obbligatoria in Draghi, tante certezze ancora non ne abbiamo. Il manifatturiero nel 2020 di bastonate ne ha prese tante (perdita di fatturato, occupazione, capacità di investire e competere) ma ha tenuto in piedi la baracca. La politica deve invece dimostrare l’efficienza e la capacità progettuale che finora è clamorosamente mancata.