Conservatori di tutto il mondo, unitevi! Dopo l’uscita dalla Casa Bianca di Donald Trump la ricerca di una “nuova via” ha  attraversato le due sponde dell’Atlantico nella scorsa settimana, quando si è svolta in Florida l’annuale Conservative Political Action Conference, Cpac, indetta dall’American conservative Union. E’ il meeting più importante per i Conservatori di tutto il mondo, dove si studiano le ricette da applicare nei diversi Stati in materia di diritti individuali e civili, politiche economiche, welfare, difesa dell’Occidente. Soprattutto, il luogo dove ci si conosce fra politici, si stringono relazioni e patti generazionali… I nostri ci vanno a corrente alternata: più volentieri se c’è da saltare su un carro vincente, meno se c’è da assorbire una sconfitta bruciante come quest’anno. «Sì, la sconfitta pesa ancora, ma io quest’anno ho trovato una grande voglia di rivalsa da parte di una base – che  resta ancora fortemente trumpiana – ed una sensibilità diversa a livello di deputati e senatori federali che sono più possibilisti nei riguardi della Casa Bianca. A noi è toccato il compito di spiegare l’evoluzione italiana, col governo Draghi, e le prossime mosse dell’Unione Europea, un’entità che dall’altra parte dell’oceano si fa ancora fatica a capire».

Paolo Borchia è l’ eurodeputato veronese della Lega – che in Europa fa parte con Marine Le Pen del gruppo Identità e Democrazia cui aderiscono complessivamente dieci movimenti politici nazionali – e per la seconda volta ha rappresentato, con pochi altri suoi colleghi, l’Italia al Cpac. Quest’anno la presenza  è stata soprattutto della Lega, un fatto immediatamente notato: «Magari si pensava che questo Cpac sarebbe stato sottotono, o rivolto esclusivamente alle tematiche interne, invece i dossier internazionali sono stati comunque al  centro di tantissimi incontri e relazioni che proseguiranno anche nel prossimo futuro».

Conservatori americani e conservatori italiani ed europei sono cose diverse: dal pro-life all’economia che c’è  in comune?

«Parto dalla seconda e cito un solo esempio: il tessuto delle piccole e medie imprese. Per l’Europa è un vanto e crediamo di avere l’esclusiva. Ma non è vero. Gli USA, di PMI, ne hanno il triplo. E questo ci deve far riflettere per creare anche da noi un ambiente friendly per le imprese riducendo la burocrazia e pensando ad un fisco che dia certezze al contribuente spingendolo, aiutandolo, nella crescita. Su questo dobbiamo darci da fare di più e, in Italia, non abbandonare il progetto di una flat tax che vada in questo senso».

Sul pro-life?

«L’Europa ha 27 sensibilità diverse al riguardo, ma credo che su un punto siamo tutti d’accordo: non c’è una adeguata informazione sulle soluzioni alternative all’interruzione della gravidanza. E questo senza ledere i diritti di alcuno. Senza estremismo, dobbiamo poter dire che l’aborto non è l’unica soluzione e fare in modo che questo non sia soltanto una cosa enunciata, ma un’azione concreta da parte del pubblico. Guardiamo ai dati: l’Europa invecchia mentre gli USA hanno una età media inferiore. Questo si traduce in tante cose, non ultima la possibilità o meno di mantenere un welfare adeguato ai livelli raggiunti».

Sull’immigrazione?

«Gestita in questo modo è fonte di grande preoccupazione. Perché il confronto con gli USA è devastante per noi: loro si debbono confrontare con una popolazione in arrivo che vuole, a tutti i costi, diventare parte del sogno americano. Hanno la stessa base culturale e religiosa e, soprattutto, vogliono integrarsi nell’Unione. Noi abbiamo un approccio opposto: non c’è un “sogno europeo”, non si viene qui in cerca di un’opportunità, ma fondamentalmente perché attratti da un welfare generoso. E non ci si vuole integrare realmente. Questo è un problema non indifferente».

Di solito, agli alleati gli USA chiedono con vigore l’adesione alla loro politica estera, faccio due esempi: Iran e Russia. E’ stato motivo di frizione al Cpac?

«Non lo sarebbe se l’Europa riuscisse a definire un proprio perimetro di azione per mettersi in gioco fra le tre super-power partendo dall’assunto che il Covid ha cambiato completamente lo scenario. Ma ci vuole una politica estera, la volontà di essere attori e non comprimari, non la ricerca di un compromesso fra 27 politiche estere diverse. Dal Venezuela in giù è un florilegio di distinguo…questo non ci dà forza nel dialogo transatlantico».

E’ stato difficile spiegare le ragioni di un governo con gli ex comunisti?

«No. L’ambiente era conservatore ma sufficientemente pragmatico per capire che a noi veniva chiesto di dare una risposta immediata a due problemi enormi: la campagna vaccinale  e la strategia sulla montagna di debito che ci portiamo in casa col Recovery plan. Ho trovato interlocutori attenti e d’accordo sul fatto che è meglio cercare di dettare un’agenda piuttosto che sparare nella chiglia».

Questo è un viatico per una Lega egemone nel Centrodestra italiano?

«La premessa è semplice: ci sono strategie per cercare di vincere le elezioni e strategie per cercare di governare i fenomeni. Noi crediamo di essere una forza di governo, con una salda esperienza amministrativa dai risultati ben visibili. Questo comporta delle responsabilità in più. Certo, l’attuale è un governo di unità nazionale dove non si può imporre una linea tout-court. Possiamo lavorare, però, perché il risultato per gli Italiani sia migliore. E sarà proprio questo risultato ad essere valutato dagli elettori».