(di Giovanni Serpelloni) I vaccini richiedono in genere anni di ricerca e test prima di raggiungere la clinica, ma nel 2020 gli scienziati hanno intrapreso una corsa per produrre vaccini contro il coronavirus sicuri ed efficaci in tempi record. I ricercatori stanno attualmente testando 76 vaccini in studi clinici sugli esseri umani e 22 hanno raggiunto le fasi finali dei test. Almeno 77 vaccini preclinici sono in fase di sperimentazione attiva sugli animali.
Tra qualche mese avremo a disposizione molte più opzioni vaccinali efficaci e sicure. Ma il problema vero nel nostro Paese e in particolare nella nostra città (come in tante città italiane) è il basso numero di vaccinazioni giornaliere che si riesce a fare rispetto ai bisogni. Lodevole l’impegno degli operatori sanitari coinvolti ma purtroppo non basta. Il fattore problematico non è certo il lavoro di tanti bravi medici e infermieri ma l’organizzazione e i modelli operativi che si sono adottati in quanto troppo ristretto il numero dei punti vaccinali e i tempi dedicati. Al contrario di stati come Israele, USA e UK, dove si sono mobilitate h24 e 7 giorni su 7 tutte le risorse sanitarie, militari e gli operatori sanitari abilitati a vaccinare, da noi si sta ancora discutendo se è come i medici di famiglia, gli specializzandi (comunque laureati ed abilitati) possano o debbano eseguire tali operazioni.
Nel frattempo non riusciamo a raggiungere quote giornaliere di persone vaccinate sufficienti né a smaltire le dose stoccate di vaccino. Credo che le necessità imperative di creare immunità generalizzata e mettere al riparo quanto prima la popolazione, soprattutto i più fragili e gli operatori sanitari, siano operazioni che non possono essere rallentate da trattative sindacali, inerzie burocratiche e resistenze ingiustificate in tempi di epidemia galoppante.
Oltre a generare morti evitabili questi ritardi procurano un danno e un dissesto economici e sociale devastante e ingiustificato. La precettazione immediata di tutte le risorse umane sanitarie abilitate ad eseguire vaccinazioni andrebbe senza indugi pretesa e messa in opera. Nessun medico e infermiere può rifiutarsi di eseguire tali operazioni vaccinali ma oltre che ad essere obbligati per legge ad eseguirle, vanno messi nelle condizioni di farlo. La ASL e i comuni dovrebbero dotare tutti i medici in grado di vaccinare (sia nel pubblico ma anche negli studi privati di qualsiasi specialista, oltre che dei medici di base) dei presidi di prevenzione, dei vaccini e del supporto per lo smaltimento dei rifiuti speciali.
È palese che i soli punti vaccinali aperti, anche se con tanti sforzi, purtroppo non bastano per assicurare tempi ragionevoli di immunizzazione di massa. Le discussioni sulle retribuzioni extra, le competenze e altre amenità burocratiche/amministrative le possiamo rimandare a dopo e in direttori generali delle ASL devono essere consapevoli (e resi direttamente responsabili di questo) che ogni medico o infermiere non vaccinato e non utilizzato per vaccinare è uno spreco imperdonabile e inaccettabile. Non vi sono scusanti. A volte si fanno banali ordini di servizio per regolamentare cose del tutto ininfluente e sciocche. In questo caso sarebbero auspicati e del tutto giustificati ma forse ci vorrebbe un coraggio e un senso del proprio dovere e una consapevolezza del proprio ruolo che oggi mancano. Il sistema attuale, in termini di vaccinazioni eseguite, sta producendo si e no il 20% di quello che si potrebbe/dovrebbe produrre con le potenzialità esistenti cambiando metodo. Credo che sia proprio il caso di ripensare quanto prima all’organizzazione che ci si è dati e prendere altre strade che in altri paesi hanno già dimostrato la loro grande efficacia. Dati da New York Times