(di Paolo Danieli) Il 17 marzo si festeggiano i 160 anni dell’unità d’Italia (nella foto la celebrazione in Bra del 22 ottobre 1866) . La data merita una riflessione. L’unità della paese era stata messa in discussione dalla Lega alla fine del secolo, in coincidenza con la dissoluzione della prima Repubblica. Ora non più. Ma non è detto che possa accadere ancora. Lo svuotamento delle sovranità ad opera delle istituzioni internazionali che stanno riducendo gli stati-nazione a dei gusci vuoti e le tensioni derivanti dai mutati assetti economici e sociali sono elementi di grande incertezza. Quindi, se si ha a cuore l’unità del Paese, evitiamo la retorica e affrontiamo l’argomento con disincanto.
Bisogna prendere atto che dopo 160 anni di stato unitario non esiste una vera unità. Non c’è riuscita la monarchia con la scolarizzazione e il servizio militare. Non c’è riuscita la repubblica con l’immigrazione interna e la televisione. Ogni volta che esce qualche statistica, economica o sociale, emergono due Italie: una a nord ed una a sud. Perché?
Per rispondere bisogna tornare a 160 anni fa. L’unificazione avvenne attraverso una serie di guerre di conquista da parte del Piemonte, in mano alla dinastia dei Savoia. Sono gli eventi militari che hanno portato all’unificazione del paese: le tre guerre d’indipendenza, la spedizione dei Mille, la breccia di Porta Pia, per non parlare della prima guerra mondiale. Non è stato un processo spontaneo e condiviso, ma la risultante di guerre e di accordi internazionali. Il popolo è rimasto estraneo al “risorgimento” di cui sono stati protagonisti degli stati esteri, come Francia e Inghilterra e una società segreta come la Massoneria. Invece le caratteristiche etniche e multipolari dell’Italia avrebbero richiesto un processo federativo, come suggerivano Cattaneo e Gioberti, che magari sarebbe stato più lento, ma avrebbe portato ad una costruzione più solida, con meno tensioni e meno morti. Sono le diversità il bello dell’Italia. Uno stato federale, com’è la Germania dei Lander o la Svizzera dei Cantoni, avrebbe garantito una rappresentanza più equilibrata delle sue componenti, che andavano dal Piemonte al Regno di Napoli; dal Lombardo-Veneto allo Stato della Chiesa.
Verona ed il Veneto sono stati annessi al Regno d’Italia cinque anni più tardi, nel 1866, in seguito ad un accordo secondo il quale Vienna cedeva il Veneto alla Francia che lo girava al re d’Italia. Per legittimare questa operazione diplomatica vennero organizzati dei plebisciti farlocchi. Andate a Palazzo Barbieri. Salite la scalinata che dà accesso al Municipio. Sulla destra potete leggere una lapide con su scritti risultati del plebiscito: 88.864 voti favorevoli e 5 contrari. Far finta di credere ancora a questi numeri ed alla narrazione patriottarda non si fa un buon servizio all’unità dell’Italia che merita maggior consapevolezza della propria storia e una vera democrazia fondata sulle autonomie.