In piazza per affermare che i linguaggi d’odio non appartengono alla pratica sportiva, ma anzi ne contraddicono i principi e il senso. La campagna “Odiare non è uno sport”, promossa a Verona dall’Ong Progettomondo ha portato oggi pomeriggio in Bra il noto ex calciatore italiano Damiano Tommasi e la centrocampista del ChievoVerona Women Alessia Pecchini. I due campioni hanno ribadito il pericolo dei social e della rete in cui transitano messaggi e commenti ben lontani dalla vera passione e amore per la pratica sportiva. Ha aderito alla campagna anche l’allenatore di basket Franco Marcelletti con una testimonianza da remoto pubblicata sulla pagina Facebook di Progettomondo. 

L’evento si inserisce nell’ambito della settimana internazionale contro il razzismo, la cui giornata si celebra ogni anno il 21 marzo.  L’obiettivo è stimolare la consapevolezza dei giovani – e non solo – sugli impatti devastanti dell’hate speech tanto online che offline, ribadendo il valore aggregativo e socializzante di una pratica sportiva rispettosa delle regole. 

Simili momenti di mobilitazione giovanile creativa si sono svolti in 10 città italiane, per contribuire a un “Flash Mob online” e corale.  Secondo il Barometro dell’Odio nello Sport, ricerca realizzata dal Centro Coder dell’Università di Torino, che ha monitorato per 3 mesi i social network delle principali testate sportive italiane, l’hate speech è ormai una componente strutturale delle conversazioni sportive, potenziata dai meccanismi virali della comunicazione digitale. 

“Lo sport è uno degli ingredienti che rendono la nostra vita speciale e può essere utilizzato per molte attività formative, anche per contrastare l’hate speech e il linguaggio verbale aggressivo”, evidenzia Damiano Tommasi. “Purtroppo commenti sui social, nell’anonimato e nell’indifferenza, creano disagio e  situazioni drammatiche. La nostra sensibilità di adulti e di genitori deve prestare sempre più attenzione a simili fenomeni, e intervenire per educare in un ambito in cui fino a ieri non si pensa che fosse necessario intervenire.  

“Per me lo sport è una passione forte che ho dentro da tempo. È anche un maestro di vita che insegna a stare con gli altri, a reagire alle sconfitte e a volersi superare sempre”, dice Alessia Pecchini “Può essere un fuoco che se divampa troppo brucia e fa male. Ma lo sport vero è passione, amore e non certo odio. Noi del mondo dello sport abbiamo il dovere, come adulti, di trasmettere il valore di un avversario, di un arbitro e del rispetto delle regole. Lo sport insegna ad amare, non certo a odiare”. 

“Chi ha praticato lo sport sa bene quali sforzi richieda, e quindi tende a rispettare l’avversario che ha fatto gli stessi sforzi, e non insulta”, conclude Franco Marcelletti. “Quando vai in campo ci metti la faccia, e non ti nascondi dietro uno schermo. Credo fortemente che per ridurre il fenomeno bisogna evitare di rispondere alle provocazioni”.  

Il progetto Odiare non è uno sport è sostenuto dall’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo e promosso dal Centro Volontariato Cooperazione allo Sviluppo, in partenariato con 7 ong italiane con ampia esperienza nell’educazione alla cittadinanza globale (ADP, CeLIM, CISV, COMI, COPE, LVIA, Progettomondo.mlal), l’ente di promozione sportiva CSEN, le agenzie formative FormaAzione, SIT e SAA-School of management, Informatici senza Frontiere per lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche e Tele Radio City e Ong 2.0 per la campagna di comunicazione.