Rinvio a giudizio per tutti gli imputati dei processi Pfas. Oggi nell’udienza preliminare a Vicenza il giudice Roberto Venditti ha deciso di riunire i due procedimenti penali per inquinamento provocato dall’azienda Miteni spa di Trissino. Immediatamente dopo i pm Barbara De Munari e Hans Roderich Blattner hanno chiesto il processo per tutti e quindici gli indagati. Per gli avvocati delle società idriche Marco Tonellotto, Vittore d’Acquarone e Angelo Merlin, che tutelano Acque del Chiampo, Acquevenete, Acque Veronesi e Viacqua, si tratta di un passaggio importante, che porterà a definire il quadro delle responsabilità dell’inquinamento cui le società idriche hanno fatto fronte fin dal primo momento. Acque Veronesi, costituitasi nel processo Pfas 1, valuterà l’eventuale costituzione in sede dibattimentale anche nel procedimento Pfas2, ossia nei reati commessi tra il 2013 e il 2018.
Gli avvocati, nella loro discussione, hanno sottolineato i “gravi comportamenti omissivi reiterati giorno dopo giorno” da parte dei manager imputati nel processo Pfas1 e l'”assenza di prevenzione” per quanto riguarda le accuse mosse nel processo Pfas2. “L’inquinamento non è mai stato interdetto – ha sottolineato il collegio legale – inoltre è stata messa in atto una dissimulazione del danno“. La prossima udienza si terrà il 13 aprile alle ore 10, la parola passerà alle difese.
Nel primo procedimento sono indagate 13 persone, tra queste ci sono manager Miteni ma anche figure apicali della Mitsubishi Corporation e della ICIG, società lussemburghese che controllava di diritto la Miteni di Trissino. I reati contestati ai 13 manager sono avvelenamento di acque e disastro innominato aggravato, per aver tra l’altro omesso di porre in essere attività che avrebbero consentito di mettere al sicuro l’azienda e il territorio circostante e per aver nascosto elementi che avrebbero potuto permettere interventi di contenimento. Secondo l’accusa gli imputati avrebbero inquinato sapendo di farlo, senza adottare contromisure né avvisare gli enti preposti, nonostante «l’alterazione anche visiva del sottosuolo» e il continuo «sforamento dei valori tollerati». I reati contestati si sarebbero protratti sino al 2013.
Il secondo procedimento riguarda 8 persone (sei delle quali già coinvolte nel procedimento PFAS 1) più la società fallita Miteni, considerata responsabile ai sensi della legge n. 231/01 in materia responsabilità da reato degli enti, per non essersi dotata di un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quelli realizzati nel suo interesse e vantaggio. In questo caso si parla, per quanto di interesse dei gestori del SII, di inquinamento ambientale ex art. 452-bis c.p., per aver immesso nella falda sottostante al sito aziendale sostanze nocive quali HFPO-Da (GenX) e cC604 che si sono propagate in un’area non inferiore a 26 km quadrati per il composto FRD e non inferiore a 75 km quadrati per il composto C604. I reati contestati vanno dal 2013 al 2018. La vecchia società Miteni, con Mitsubishi corporation, e la lussemburghese Icig, dovranno, nell’ipotesi di condanna, rifondere i danni causati dall’inquinamento.