Davanti al flop della previdenza complementare – appena un lavoratore su cinque l’ha avviata – ed alla ancora più scarsa adesione di giovani, donne e percettori di bassi redditi, è ora che lo Stati avvii un proprio strumento, sostenuto da condizioni di vantaggi fiscali, per permettere a questa fascia di lavoratori di potersi costruire un proprio pilastro da affiancare alle pensione in regime contributivo che maturerà fra qualche decennio. Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, a Wakeup Italia dell’Università di Verona, lancia la sua proposta per rendere più equo e diffuso lo strumento delle pensioni integrative. Spiega: «L’identikit di chi ha aderito è facile da delineare: maschio, residente nel Centro-Nord, percettore di redditi medio alti. Sono esclusi i giovani, le donne, i lavoratori del Centro-Sud, quelli che guadagnano poco. Cioè, quelli che avranno più bisogno in prospettiva di una pensione che integri quello che matureranno con l’Inps. Lo Stato questo lavoro lo può fare: può rendere le pensioni integrative attrattive, popolari, può farlo usando la leva fiscale, coi giusti incentivi. E così facendo risolverebbe anche altri problemi».
Quali, ad esempio? «Ad esempio quello del rendimento delle pensioni complementari che oggi non supera certo quelle dei trattamenti di fine rapporto; quello della destinazione di questi risparmi che oggi vengono al 75% investiti all’estero; quello della funzione “sociale” che questi risparmi avrebbero se investiti in Italia finanziando attraverso CDP gli investimenti infrastrutturali (che hanno rendimenti certi sul lungo periodo, quindi perfetti per un’assicurazione) e come effetto calmiere nella gestione del debito pubblico se investiti nei nostri Buoni del Tesoro».
Calabrese, ultimo di sette figli, cresciuto in una famiglia povera, con genitori analfabeti, Pasquale Tridico si definisce “figlio del welfare” dato che il suo ascensore sociale è stato tutto pubblico: «Sono cresciuto a case dello studente ed a borse di studio, in Italia e all’estero: sono figlio del welfare pubblico che resta il motore principale per quella mobilità sociale necessaria alla crescita di una società». Oggi guida l’Istituto nazionale della Previdenza Sociale, un colosso pubblico, uno dei veri motori del Paese con 121 anni di storia, ed un budget di 350 miliardi€ l’anno, una realtà che gestisce oltre 50 milioni di prestazioni ogni mese e che è tornata ad assumere giovani con skill che vanno dall’amministrazione, all’informatica, alla medicina, all’architetture e al legale. 8.500 giovani dal 2019. Un Istituto che è sempre al centro dell’interesse della politica e della, conseguente, polemica: «Del nostro budget, due terzi vanno in prestazioni pensionistiche, per 230 miliardi ogni anno. Ma il resto va a finanziare tantissime cose: dall’assistenza pura alla lotta alla povertà ed alle diseguaglianze, al sostegno alla natalità e, soprattutto, sosteniamo direttamente l’occupazione attraverso 21 miliardi€ dati ogni anno come incentivi e strumenti vari alle imprese».
Fra gli impegni quello, molto contestato, del reddito di cittadinanza: «Trovo sia stato fatto un dibattito molto brutto, lontano dalla realtà della società, lontano da ogni considerazione non pregiudiziale e ideologica. Nella realtà, senza il reddito di cittadinanza la crisi della pandemia sarebbe sfociata in tensioni sociali non facilmente governabili. Ma, oltre a questo, lo considero un vero successo per il sistema Paese: per la prima volta si è investito su quel 10% della popolazione che era stato sempre escluso da ogni aiuto, o sostegno, o intervento pubblico. Un 10% di Italiani perennemente ai margini, di fatto sconosciuti. Una vera e propria “lobby dei poveri” che, però, non aveva mai ottenuto nulla. Col reddito di cittadinanza, con quegli otto miliardi, abbiamo dimezzato il coefficiente di Gini (che misura la diseguaglianza nella distribuzione delle ricchezze di un Paese) e il poverty gap riducendo da 5 a 4 milioni il numero delle persone più povere in Italia. Senza il Reddito quelle persone come avrebbero superato la pandemia?».
Può il reddito di cittadinanza essere d’ostacolo alla ricerca di un lavoro? Tranchant la risposta di Tridico: «Quegli 8 miliardi vanno confrontati ai 20 che ogni anni diamo alle imprese perchè assumano, contributi che non sono stati tagliati. Quindi non c’è un nesso diretto. Molto di più farebbe però una politica salariale più interessante per un lavoratore e l’accelerazione verso la digitalizzazione del mondo del lavoro e la società italiana che porterebbe a nuove occupazioni, meglio retribuite, e più attrattive per i giovani. Il lavoro si crea partendo da qui».