(di Bulldog) Due fatti scollegati fra loro riaprono il dibattito sull’utilizzo del patrimonio pubblico di Verona in una fase di uscita dalla pandemia e di “ripresa & resilienza” in presenza di trasferimenti da Roma parziali o insufficienti. Il primo, è il richiamo di Massimo Ferro alla costituzione di un Fondo Sovrano che intercetti parte dei tanti depositi liquidi di famiglie ed imprese e li metta a terra in programmi concreti di sviluppo; il secondo è il dibattito sul bilancio del Comune di Verona o, per meglio dire, su come spendere i soldi dei Veronesi: finanziare alcune realtà che garantiscono (al di là dei limiti di programmazione e management) un indotto alla città o redistribuire più o meno cash alle categorie che più hanno pagato il costo della pandemia?
Cosa tiene insieme due fatti così lontani fra loro? L’uso possibile del patrimonio pubblico inteso come leva di crescita per ottenere entrambi gli scopi: avere strutture con risorse adeguate per impostare un piano di crescita a medio termine ma anche per generare un indotto importante per Verona sin da questo anno fiscale; sostenere le categorie economiche, e le famiglie, in questa congiuntura.
Il patrimonio pubblico si fonda su due elementi generati dalle tasse e dal risparmio dei Veronesi: il Comune SPA (ovvero la somma di tutte le partecipazioni comunali nell’economia reale) e la Fondazione CariVerona che è subentrata alla “Cassa di Risparmio di VR, VI, BL e AN” in seguito alla lege Amato e che ne mantiene il patrimonio.
Il bilancio consolidato del Comune vede un totale dell’attivo patrimoniale (ricalcolato per le quote di esatta proprietà di Palazzo Barbieri) di 1,850 miliardi€. Questo a valori 2019. In questo conteggio ci sono AGSM, con le sue controllate; AGEC, la cassaforte immobiliare; le aziende di trasporto; VeronaMercato e Consorzio ZAI; il gruppo di VeronaFiere; parcheggi; società attive nella raccolta dei rifiuti dentro e fuori la città di Verona; la Fondazione Arena di Verona ecc ecc. Il valore della produzione di queste realtà è stato nel 2019 pari a 1,911 miliardi€. Per capirsi, soltanto la Volkswagen, Lidl, il gruppo Veronesi, Calzedonia, Famila ed Eurospin fatturano più del Comune di Verona con la differenza che tutte queste “big blue” vendono in tutto il territorio nazionale, cosa che Palazzo Barbieri (tranne una quota di AGSM) non fa.
La Fondazione, dal canto suo, ha 2,065 miliardi€ di patrimonio fra azioni di Unicredit, di Cattolica, di Banco BPM, obbligazioni varie, titoli di società non quotate (come la Fiera) e immobili. La ricchezza “pubblica” dei Veronesi insomma sta sui 4 miliardi. Che rendono, facendo un conto spannometrico, una sessantina di milioni l’anno: quasi 37 dalla sola Fondazione. Non tantissimo, ma su questo “poco” si fonda larga parte del welfare al servizio della nostra Comunità.
La ricchezza privata dei Veronesi invece è ben maggiore: in banca ci sono 30.092€ a testa (dato Abi/Bankitalia), pari a 7,7 miliardi cash, fermi lì a non far niente. Quattro più sette fa undici miliardi: vogliamo dire che c’è trippa abbastanza per fare ben più di un aumento di capitale, creare una vera dotazione alla Fondazione Arena, e di sovvenzionare (ammesso che sia legittimo che il Comune subentri ai danni generati da una decisione del Governo in presenza di ristori già determinati per quello scopo, ma questa è una scelta politica…) l’economia reale?
Il Comune di Ferrara ha messo insieme tutte le sue partecipazioni in un’unica holding. Vuol dire ridurre le spese amministrative (e il costo della politica, ma questo in realtà nessuna forza politica lo vuole, 5stelle inclusi) e una guida più diretta. Se Verona applicasse questa strada potrebbe anche decidere di rendere disponibile al mercato una quota minoritaria di questa holding attraverso mille strade, ipotizzando anche un intervento diretto del risparmio dei Veronesi. Un Fondo sovrano scaligero che potrebbe intercettare qualche centinaio di milioni cash. A questo punto di Save, di Fiera di Milano o di Duesseldorf o di Bologna, di A2A o di Alperia o di Hera e di chiunque altro Verona potrebbe fare benissimo a meno concentrandosi su un piano di ripresa e resilienza tutto suo, senza chiedere nulla a nessuno. E saremmo di nuovo “paroni a casa nostra”.