(di Stefano Tenedini) La montagna ha partorito un proroghino. Autobrennero può tirare il fiato ma solo per un paio di mesi: il nuovo termine della concessione per la gestione della A22, scaduto a fine aprile, è stato spostato al 31 luglio. La notizia, da considerare tutt’altro che un trionfo, rimbalza da Roma dove la scadenza (inserita nel decreto legge Sostegni per sanare la scopertura) è stata aggiunta nelle commissioni Bilancio e Finanze del Senato. A fine marzo l’ultimo vertice (qui la nostra cronaca) aveva fissato una linea del Piave almeno fino al 31 dicembre 2021 per avere nove mesi in più e trattare sull’ipotesi di trasformare Autobrennero in una società in house, con i soli soci pubblici senza più i privati, che vanno ancora liquidati. Perché il “dibattito”, chiamiamolo così, è proprio sul conto da pagare.

Una moderata soddisfazione è stata espressa dagli esponenti politici che stanno seguendo la vicenda, come il veronese Paolo Tosato della Lega. “Bene l’estensione della concessione per la A22, che previene per ora il rischio di togliere agli enti locali”, dice, “il controllo della gestione degli investimenti necessari e già programmati per il Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia ed Emilia. Ma in questi pochi mesi bisogna trovare una soluzione più duratura per utilizzare a beneficio delle comunità investimenti per centinaia di milioni accantonati grazie alla buona gestione. La A22 è un’opera centrale per i tutti i territori che attraversa”. “Eppure i nodi restano e ci vorrà tutto l’impegno del governo per risolvere i problemi che il precedente provvedimento aveva generato sul piano aziendale, economico e finanziario”, aggiunge Donatella Conzatti di Italia Viva, trentina. “Bisogna proseguire il confronto, così da procedere spediti verso il rinnovo della concessione. Senza coesione tra i soci pubblici e privati e i vertici della A22, la prospettiva resta la gara e non dipenderà più dalla politica”.

La storia infinita del rinnovo della concessione va avanti ormai da sette anni, alla scadenza formale del 30 aprile 2014. Di proroga in rinvio, da Trento a Roma e a Bruxelles, tra scontri fra soci, ministeri competenti e ministri incompetenti e un’Unione Europea interessata al rispetto delle forme e anche alla sostanza, ma incapace di costringere gli italiani a risolvere il contenzioso. Sullo sfondo anche ipotesi fantasiose di completamento di lavori sepolti come la famosa PiRuBi da Piovene Rocchette a Rovereto, pur di allungare il brodo (ne scrivevamo qui). Il punto chiave della telenovela è confermare che i soci pubblici (peraltro da sempre netta maggioranza) resteranno da soli e potranno così ottenere direttamente la concessione per i prossimi 30 anni, dando il via alla campagna di investimenti e opere citata da Tosato.

Un’ipotesi di modifica societaria ragionevole, che eviterebbe l’obbligo di lanciare una gara sulla concessione a livello europeo, scenario critico per gli enti locali, tra cui la Provincia di Verona. I privati vedrebbero liquidato il loro 14,15%. Sì, ma quanto bisogna pagarli? Il tira e molla è proprio sulla buonuscita: gli uscenti chiedono un risarcimento di 160 milioni, ma la Corte dei Conti ha individuato in 70 milioni il confine oltre il quale scatterebbe il rischio di danno erariale. Su tutto ciò incombono anche i 750 milioni del “fondo ferrovia” (nato a supporto degli investimenti per la tratta del Brennero), che però l’ultimo decreto “Ristori” ha sfilato dai calcoli per valutare la liquidazione dei privati. Adesso Roma ha fatto saltar fuori due mesi e mezzo per trattare: basteranno? Si accettano scommesse.