Vi chiedo, anche oggi, seppure in questo frangente non felice, di continuare a dedicare le Vostre energie a Cattolica, consapevoli …che si deve mettere l’interesse aziendale ante omnia. Vi ringrazio per la Vostra vicinanza e per l’affetto che sempre mi avete dimostrato, che ho cercato di contraccambiare, nel mio piccolo, dando un esempio di integrità, coraggio e dedizione”. Queste righe, Alberto Minali le scrisse sul suo tablet nella pausa del consiglio d’amministrazione che gli toglieva le deleghe di amministratore delegato. Una quindicina di righe in tutto, destinate ai dipendenti della compagnia, elaborate nel peggior momento possibile, eppure ancora piene di lealtà verso Cattolica. A bocce oramai ferme, con Cattolica diventata spa e con un azionista di riferimento che ne detterà d’ora in poi l’azione, oggi Minali accetta di lasciarsi intervistare da L’Adige.

Dottor Minali, che effetto fa ritornare a quei momenti?

«Quelle righe spiegano molto bene i miei sentimenti in quel frangente. Un Cda convocato il giorno prima, senza un ordine del giorno dichiarato, con una lettera del presidente ai Consiglieri che mi è stata negata per mesi. Ma rifarei tutto quello che ho fatto per Cattolica e rivendico il cambiamento di passo che ho realizzato».

Ricordiamo gli anni del suo mandato?

«Sono arrivato nel giugno del 2017, il tempo di capire e conoscere meglio la realtà dove ero arrivato e subito un piano industriale e l’accordo col Banco BPM sulla bancassurance. Già l’anno dopo, l’utile operativo era cresciuto del 45%. Il 2019 era partito molto bene, in linea col piano industriale (poi raggiunto, il primo dopo i nove precedenti andati a vuoto), con ottime prospettive di fare ancora meglio. Lo dicono i numeri, non io. Io rivendico il merito di aver rivitalizzato la Compagnia, di averla riportata ai valori fondanti, di aver fatto riscoprire a collaboratori e dipendenti l’orgoglio di operare nella Compagnia. Di essere una squadra. Ne ho incontrati più di ottocento in incontri vis-a-vis: volevo che non considerassero Cattolica come un “ministero”, uno “stipendificio” e basta, ma che trovassero nuove ragioni di impegno».

«Bancassurance? Poche storie, è il modello vincente. E col Banco guadagnavamo, avevamo un patto di ferro»

Sa, vero, che le rimproverano l’accordo col Banco Bpm…

«Ovviamente».

…dicono che con quei soldi avrebbe potuto comprarsi tutto il Banco. Perché non lo ha fatto?

«Con 750 milioni (tanto è costato l’accordo di bancassurance) avrei potuto rilevare il 30% del Banco, non tutto. Ma questo avrebbe comportato una liaison non ottimale per la gestione. Non dico che questo modello non esista – Unipol e Bper, ad esempio, seguono questa strada -, ma io non la ritengo funzionale e potrebbe generare contraccolpi imprevedibili in base all’andamento di uno dei due business all’altra parte».

Invece con la bancassurance…

«Guardi, il modello è vincente come dimostrano le esperienze europee più performanti (Intesa in Italia, guarda caso). Ad ogni modo, non siamo arrivati a quell’accordo per un mio vezzo, ma in seguito a precise analisi di mercato e dopo la condivisione di questo passaggio  in dieci consigli d’amministrazione di Cattolica che lo ritennero “molto innovativo” per la sua formula. Formula che si basava su più  clausole di salvaguardia: il business plan prevedeva una presenza ottimale del ramo vita e del ramo danni, ma in via prudenziale “tagliava” del 25% il valore della raccolta e della redditività, uno “sconto implicito” imposto alla banca; il Banco BPM era “forzato” ad impegnarsi massicciamente nel progetto attraverso un meccanismo di premi e penali ( a fine 2019 il Banco registrò penali per qualche decina di milioni a fronte di una raccolta inferiore alle attese nel ramo vita) sulla base di un rendimento netto annuo che il Cda di Cattolica voleva garantito (l’8%); infine, la clausola di possibile uscita nel caso di “cambio di controllo” (poi “usata” dal Banco nel momento dell’ingresso delle Generali). Per Cattolica era importante aprire un secondo polmone produttivo sulla parte più interessante del mercato; chiudere al meglio la vicenda Popolare Vicentina; coinvolgere una rete vendita importante rappresentata dall’ex Popolare di Milano bilanciando l’andamento non brillante dell’accordo con Iccrea. Non mi pare che abbiamo mancato quegli obiettivi».

«A questo punto spero in un’Opa delle Generali: sarebbe corretto che tutti gli azionisti si vedessero riconosciuto il vero valore delle azioni»

Che effetto le fa vedere la Cattolica diventata Spa?

«Non mi sembra il modo migliore per celebrare i 125 anni dalla sua fondazione. C’è una narrazione che mi vuole favorevole alla trasformazione in Spa ed all’abbandono della formula cooperativista. Be’, è una falsa narrazione: non ho mai chiesto questo né ho mai premuto per raggiungere questo “risultato”. Ero convinto, e resto convinto, che una cooperativa se ben amministrata, se ben gestita, possa ancora operare sul mercato con piena soddisfazione. Arrivare alla Spa in questo modo, consegnandosi ad un competitor, mi pare aver svenduto una storia importante».

C’erano altre alternative?

«Penso proprio di sì. La soluzione Vittoria ad esempio che avrebbe garantito di raggiungere una posizione di forza nel mercato e garantito a Verona il controllo della governance».

Ci sarà la Opa di Generali su Cattolica?

«Non lo so, non conosco la regia sottostante questo accordo Trieste-Verona. So che anche nel Cda giuliano in tanti se lo chiedono. Diciamo che me lo auguro da azionista. Oggi il titolo quota sui 5€ a fronte di  un valore netto rettificato per azione di 8€. Sarebbe corretto che tutti gli azionisti si vedessero riconosciuto questo valore».

Paolo Bedoni: meglio in Fondazione Cattolica o in Genagricola?

«Trovo indelicato un passaggio in Fondazione, dico la verità. Mi pare una forzatura rispetto a quanto accaduto. Genagricola? Mi sembra sia già governata al meglio».

Voltiamo pagina: in poco tempo ha raccolto 45 milioni per la sua nuova realtà assicurativa, Revo..

«La correggo, mi scusi. Abbiamo già completato la raccolta di capitali ed abbiamo superato il tetto di 200 milioni che ci eravamo prefissati. Abbiamo avuto oltre 240 milioni di richieste e ne abbiamo accolte per 220. Assieme alla Fondazione CariVerona, Vittoria Assicurazioni e Scor Reinsurance Group ci sono i family office delle più importanti famiglie imprenditoriali e diversi investitori internazionali. Siamo molto soddisfatti degli arrivi, dico la verità».

Quindi adesso andate alla caccia di una compagnia assicurativa. E’ così necessaria?

«Sì, il mercato assicurativo è regolato. Ci serve una società già operativa, con le licenze, che operi in un settore contiguo a quello di Revo, nei rischi speciali così da non disperdere know how e partire, anzi, da una prima base. Poi ci sarà la quotazione a Milano come prevede il regolamento delle  Spac, le Special purpose acquisition company».

Revo è la contrazione di “revolution”: mi spiega qual è la rivoluzione nelle assicurazioni?

«In Italia c’è un grande spazio per i “rischi speciali”, quelli che vanno oltre all’ordinario che le grandi compagnie tralasciano perché più rivolte al mass market e lasciano in mano ai broker. In più, sempre in Italia, il sistema delle imprese è fortemente sotto-assicurato non prevedendo i nuovi rischi: dalla sicurezza informatica al  riciclaggio di capitali e a tanti altri. Ci sono poi gli eventi catastrofici che soltanto in parte vengono coperti da assicurazioni. Un esempio: il terremoto in Emilia del 2012 è stato di 5.9 punti della scala Richter; quello del L’Aquila, del 2009, si è fermato a 5.8. Ebbene, in Emilia è tutto ricostruito, a L’Aquila no. La differenza sta in un dato, la copertura assicurativa: a L’Aquila soltanto una impresa su 10mila era assicurata. E quindi stanno ancora aspettando i fondi pubblici. Ma su questo rischio, noi possiamo studiare nuove formule: ad esempio, prodotti assicurativi parametrici possono agire sulla scorta di dati indipendenti e  certi al manifestarsi dell’evento tagliando fuori tutta la parte delle perizie e quindi azzerando le attese di risarcimento proprio nel momento in cui se ha davvero più bisogno. Ci sono nuovi bisogni – legati ad esempio all’interruzione della attività a causa di eventi catastrofici, come insegna la pandemia – che hanno bisogno di nuove coperture. La rivoluzione, la “nuova frontiera” delle assicurazioni sta proprio qui: nella capacità di leggere in anticipo questi bisogni e di creare prodotti diversi dal passato».

E chi crea questi nuovi prodotti?

«Questa è un’altra “nuova frontiera”, non a caso siamo diventati sponsor dell’Università di Verona per un nuovo corso di studi sulla intelligenza artificiale. Revo avrà bisogno di “underwriter” e dovremo cercarli fra i professionisti del mercato dei rischi; di esperti di intelligenza artificiale; di data-scientist che è una specializzazione più presente nel mondo anglosassone. Ma il nostro chief-data-officer è un ragazzo italiano, con esperienza a Londra, che si costruirà in Italia la sua squadra. Noi vogliamo crescere qui, coi nostri giovani».