Anche Aglietti se ne va. Non è ufficiale, ma l’allenatore che ha portato il Chievo ai play-off per due stagioni consecutive, senza peraltro riuscire ad ottenere la promozione in serie A, ha deciso di salutare Campedelli. Niente di personale. Nessuna polemica. Anzi, se dovesse ascoltare il cuore resterebbe. Ma obiettivamente non ci sono le condizioni. Non tanto quelle economiche. Lì c’è sempre margine per mettersi d’accordo. Non è quello il problema. La ragione dice ad Aglietti che così, con le prospettive disegnate dal direttore sportivo De Giorgis che solo la settimana scorsa ha annunciato un programma al ribasso, non c’è motivo per restare. E non si possono nemmeno trovare le motivazioni. Il problema è tecnico. E se anche chi non è addentro la società della Diga ha capito che, “sic stantibus rebus”, Campedelli venderà il più possibile per fare cassa, figuriamoci se Aglietti, dal suo osservatorio, non ha recepito la medesima impressione, se non peggio. E allora, avrà pensato il tecnico toscano che aveva fatto volare in A l’Hellas subito prima di passare al Chievo, che ci sto a fare? Che se ne vada un allenatore non è un dramma. I “mister” vanno e vengono e, morto un papa se ne fa un altro.
Solo che nel giro di due giorni, Campedelli si trova ad incassare due addii. Ieri Pellissier, oggi Aglietti. Due storie diverse, due personalità diverse, ma qualcosa vorrà pur dire. Campedelli non può far finta di niente. Troppo facile leggere questi avvenimenti come l’effetto di una crisi economica, una questione di soldi. Il timore è che qualcosa si sia rotto. O che qualcosa si sia spento. Campedelli guida la società dal 1992. Ha i meriti del miracolo, ma anche una responsabilità: quella di mantenere vivo un fenomeno sportivo, ma non solo, che tutta Europa ha invidiato. Deve trovare lui la strada per uscire dalla crisi.