Tredici sono i ponti che collegano le due parti di Verona separate dall’Adige. In realtà sono quattordici. C’è anche la Diga del Chievo. Che è sì una diga, ma anche un ponte in quanto permette di attraversare il fiume da una parte all’altra, dal Chievo a Borgo Trento. Oggi solo a piedi o in bici. Fino ad alcuni decenni fa anche in auto, pagando un pedaggio di dieci lire, che andavano al Consorzio Canale Camuzzoni, oggi di proprietà quasi esclusiva di Agsm-Aim, ma allora costituito dal Comune e dalle imprese costruttrici: le Cartiere Fedrigoni, i Molini Consolaro ed il Cotonificio Veneziano.
“La Diga” è però e soprattutto un monumento. Un esempio di archeologia industriale, di quell’architettura del ‘900 che sapeva coniugare la funzione all’estetica, le esigenze tecniche all’eleganza. Effettivamente per chi percorre lungadige Attiraglio, che collega la città con Parona, è uno spettacolo incontrare la sagoma della diga che, nella sua leggerezza, sembrerebbe impossibile potesse fermare e deviare la potenza dell’acqua dell’Adige, specie quando nelle piene la sua portata cresce paurosamente.
Costruita fra il 1920 e il 1923 era stata progettata dall’ing. Gaetano Rubinelli per deviare una parte delle acque del corso dell’Adige ed aumentare la portata del Canale Camuzzoni con la finalità di produrre energia idroelettrica per le industrie che stavano a valle della città. Proprio perché è un bellissimo esempio di architettura industriale del secolo scorso, sarebbe il caso di metterla un po’ a posto. Non dovrebbero essere necessari grossi lavori, poiché la struttura è sana. Sarebbe sufficiente un una rinfrescata, un po’ di maquillage alle torrette, ai camminamenti di legno, ai mattoni, una verniciata alle strutture metalliche, alle tettoie ed alle paratoie. Con una spesa ragionevole la Diga potrebbe tornare al primitivo splendore e diventare a buon diritto un altro monumento da visitare per chi viene a Verona.