“Sblocco dei licenziamenti? La questione riguarda solo marginalmente l’artigianato. Le nostre aziende cercano continuamente personale qualificato e si tengono strette le maestranze già formate”. Roberto Boschetto, Presidente di Confartigianato Imprese Veneto, replica così al dibattito scoppiato in questi giorni in merito al provvedimento contenuto nel Decreto Sostegni bis. “Nell’artigianato non si pensa a licenziare ma ad assumere. Molti settori sono in piena ripresa, anche se non si è ancora tornati ai livelli del 2019 – spiega Boschetto – penso ad esempio alla Metalmeccanica, comparto nel quale le aziende sono costantemente alla ricerca di personale qualificato. E questo non è l’unico settore nel quale prevale l’ottimismo. L’edilizia è alle prese con gli effetti positivi del superbonus, ma per agganciare la ripresa ha bisogno di contare su personale qualificato e costantemente aggiornato”.
Dal più recente report sul mercato del lavoro in Veneto di VenetoLavoro è possibile mettere a confronto l’andamento delle assunzioni nei mesi di marzo e aprile nel triennio 2019-2021 da cui emerge – partendo dal 2019 quando si registrarono 107.724 assunzioni – un buon recupero nel 2021 (66.664 pari a un -38%) rispetto al -61% (42.327 assunzioni) del 2020 in pieno lockdown. Un chiaro segnale di ripresa ancora più evidente se si guarda al manifatturiero (-17% nei primi 4 mesi del 2021 contro il -26% dello stesso periodo 2020) ed all’edilizia (-19% invece del -34%), due comparti strategici per l’artigianato veneto. Attualmente sono 123.851 le imprese che operano in Veneto, rappresentano un terzo del totale delle aziende registrate alle Camere di Commercio. L’artigianato occupa 354.625 addetti. Secondo i dati diffusi (nella grafica in apertura) dal Progetto Excelsior di Unioncamere inoltre, il fabbisogno di lavoratori stimato nella nostra regione è di 40.210: 5.120 dirigenti, professionisti con elevata specializzazione e tecnici, 14.440 impiegati e professionisti qualificati nelle attività commerciali e nei servizi, 14.050 operai specializzati e conduttori di impianti e macchinari (oltre a 5.610 professioni non qualificate).
Per quanto riguarda la provincia di Verona, le imprese artigiane sono 24.557 (al 30 marzo 2021) ed impiegano 57.640 addetti. Le previsioni Excelsior sui lavoratori in entrata parlano di un fabbisogno totale, per l’artigianato veronese, di 8.020 figure professionali: 1.110 dirigenti, professioni con elevata specializzazione e tecnici; ben 3.240 impiegati e professioni qualificati nelle attività commerciali e nei servizi; 2.450 operazi specializzati e conduttori di impianti e macchinari; 1.220 professioni non quualificate.
“Una buona fetta di queste figure sarà assorbita dall’artigianato, che in questi giorni, più che porsi il problema dei licenziamenti, sta cercando di incentivare i giovani a intraprendere studi tecnici che possano permettere loro un lavoro soddisfacente, sia dal punto di vista economico sia personale – aggiunge Roberto Iraci Sareri, Presidente di Confartigianato Imprese Verona e Vicepresidente regionale –. In questo periodo storico è anche comprensibile che la certezza non possa essere considerata cosa normale, tuttavia è innegabile si sia perso e si stia perdendo troppo tempo attorno al progetto di riforma degli ammortizzatori sociali e all’introduzione di politiche attive. Proprio qui sta il problema: è molto probabile che la crisi dettata dalla pandemia lasci presto il posto ad una ripresa che vedrà alcuni settori che hanno bisogno di lavoratori e che rischiano di vedere compromessa la loro produttività per carenza di personale, soprattutto di personale formato. Un fenomeno che si sta già verificando, come dicono i dati di VenetoLavoro. Se quindi è stato opportuno il blocco dei licenziamenti per arginare le conseguenze della pandemia, il Paese ora deve essere pronto e tempestivo nel gestire gli esuberi che potrebbero riscontrarsi in alcuni settori economici, compensandoli con la richiesta di personale sempre più urgente di altri”. In tutto questo, per Confartigianato, ripensare la NASPI, il periodo di ammortizzatore per i lavoratori (massimo 24 mesi) che hanno perso il posto di lavoro, in chiave produttività e non come mero sostegno al reddito fine a sè stesso, potrebbe essere una scelta opportuna.
“Magari togliendo la progressiva riduzione dell’assegno a fronte dell’obbligo di accettare un nuovo impiego – conclude Iraci Sareri –, rivedendo in questo senso le condizionalità. In sé la NASPI, come avviene in molti paesi, potrebbe essere un unico ammortizzatore sia in costanza di rapporto sia a fine rapporto e dovrebbe, accanto alla garanzia di un reddito, avere tutti gli strumenti per il reimpiego. Ma deve essere rivisto in tutti e due gli aspetti: quello economico per garantire un vero reddito e quello dell’obbligo ad accettare il reimpiego”.